Cibi antichi, dalla preistoria alla Bibbia, dagli Egizi all’Impero romano, che gli agricoltori italiani hanno recuperato e messo sulle nostre tavole
Una mostra sui prodotti salvati nel corso dei secoli dagli agricoltori italiani. Grazie all’esposizione inaugurata da Coldiretti a Expo, nel Padiglione Coldiretti ‘No Farmers No Party’, possiamo scoprire l’origine di alimenti amati nell’antichità e consumati ancora oggi.
Idromele
L’idromele, bevanda a base di miele, era molto nota nell’antichità come «la bevanda degli dei» che Omero chiamava ambrosia. Secondo alcuni si tratta addirittura della bevanda fermentata più antica del mondo, più della birra. Era tradizione, in molte parti d’Europa, che alle coppie appena sposate fosse regalato idromele sufficiente per la durata di una luna, un periodo di tempo di quasi un mese. Il termine «luna di miele» deriva proprio dal fatto che per la durata di una luna la coppia godeva del consumo di questa deliziosa bevanda.
Vino cotto
Viene dall’antica Roma il vino cotto, bevanda marchigiana prodotta facendo bollire il mosto di uve bianche o rosse in caldaie di rame e lasciata quindi a fermentare e riposare in botti di legno per anni. I patrizi e gli imperatori romani concludevano i loro succulenti banchetti con calici di cotto proveniente dalle campagne picene, tanto che Plinio il Vecchio, nel I secolo d.C., ne descrive il metodo di preparazione e la considera tra le bevande più ricercate d’Italia.
Manna
La manna deve la sua fama universale all’episodio riportato nella Bibbia degli Ebrei guidati da Mosè che erravano attraverso il deserto del Sinai, piegati dagli stenti e dalla fame, che ricevevano da Dio questi fiocchi bianchi e dolci dal gusto di miele. A salvarla dall’estinzione sono stati gli agricoltori siciliani, che la estraggono dal frassino per utilizzarla come dolcificante per i diabetici, nelle cure dimagranti e nelle terapie disintossicanti.
Fagiolo Piattella
Tipico del borgo piemontese di Cortereggio, fondato dai romani, il fagiolo Piattella canavesana di Cortereggio era divenuto un vero e proprio bene di scambio per acquistare l’uva del Monferrato. Scomparso dai mercati fin dagli anni ’80 del secolo scorso, è stato salvato grazie alla lungimiranza di un agricoltore che ne ha consegnato qualche kg all’università di Torino per conservarne il germoplasma. Oggi la Piattella continua così ad essere prodotta con la stessa qualità di una volta ed è entrata addirittura nel menù dell’astronauta italiana Samantha Cristoforetti.
Lampascioni
I Muscari, oggi conosciuti come lampascioni, erano particolarmente amati dai Romani che nei pranzi nuziali erano soliti offrirli come cibo augurale per la fecondità degli sposi. Ricercati fin dall’antichità sia per le proprietà benefiche per stomaco e intestino, sia per i loro presunti effetti afrodisiaci, ebbero un posto di rilievo nei trattati di medicina nonché nelle diete proposte dai più famosi personaggi dell’antichità come Galeno, Plinio il Vecchio, Pedanio e persino da Ovidio. La loro coltivazione è stata recuperata in Basilicata.
Prosciutto di Sauris
È nato dall’incontro tra la cultura agroalimentare friulana e quella germanica il Prosciutto di Sauris Igp. La tecnica di produzione, infatti, è legata alla tradizione delle popolazioni tedesche, insediatesi in Friuli Venezia Giulia nel secolo XIII, di lavorare e conservare, attraverso l’affumicatura, la carne e le cosce suine. Da allora, il metodo dell’affumicatura viene effettuato con le stesse modalità, per assicurare al prodotto le caratteristiche inconfondibili per le quali è conosciuto e apprezzato anche al di fuori dei confini regionali e nazionali.
Boudin valdostano
Dall’antica tradizione contadina derivano poi altre specialità come il boudin valdostano, particolare salume prodotto con patate bollite, pelate a mano e lasciate raffreddare, alle quali vengono aggiunti cubetti di lardo, barbabietole rosse (ottimo conservante naturale), spezie, aromi naturali, vino e sangue bovino o suino.
Grano monococco
Risale addirittura a 23 mila anni fa il grano monococco (Triticum monococcum), la specie geneticamente più semplice e antica di grano coltivato, originario della zona centro-settentrionale della Turchia. Anche l’esame della famosa mummia di Similaun (3350-3310 a.C.) ha accertato la presenza del grano monococco a base della dieta nell’età del rame. La coltivazione di questo cereale scompare però alla fine dell’età del Bronzo (1000-900 a.C.), ma in Lombardia alcuni agricoltori hanno deciso di recuperarla, valorizzandone le caratteristiche dietetico-nutrizionali, grazie all’ottima composizione della sua farina, al basso livello di glutine e al limitato impatto ambientale della sua produzione.
Grano saragolla
Dalle Piramidi deriva, invece, il grano saragolla, conosciuto anche come Grano degli Egizi o del Faraone, che oggi si coltiva in Abruzzo dove fu introdotto nel 400 d.C. Quasi abbandonata con l’avvio delle importazioni di grano dall’estero, la coltivazione del saragolla è stata salvata dai piccoli agricoltori della zona collinare del basso Adriatico.
Mais sponcio
Anche il mais sponcio ha una storia che risale al 1500, quando viene introdotto nelle zone montane di Belluno. Presenta spighe affusolate a tutolo bianco, con semi dalla inconfondibile forma a punta (rostro), da cui il nome dialettale sponcio, cioè che punge, ed è la base della tradizionale polenta gialla di montagna: densa, soda, forte e profumata, con le caratteristiche pagliuzze marroni.
Farro
Ma è ripresa anche la coltivazione del farro, uno dei primissimi cereali coltivati dall’uomo, proveniente dalla Mesopotamia, da cui, attraverso l’antico Egitto e il Mediterraneo, arrivò nella penisola italica. Molto coltivato nell’antichità, con tracce che risalgono al 7000 a.C., menzionato anche nella Bibbia, ebbe grande prestigio durante il periodo romano e i legionari ne portavano sempre delle scorte con sé nei loro movimenti da un territorio all’altro.