Incrocio tra clementino e pompelmo, il miyagawa satsuma si sta diffondendo anche in Italia. E (dicono) potrebbe aiutare nella lotta all’obesità. Ecco perché
Presentato la scorsa settimana a Expo dalla Coldiretti al padiglione No farmers no party, il miyagawa satsuma è solo l’ultima novità, per ora, che finirà sulle nostre tavole. Anzi, a dir la verità, già da qualche tempo quest’incrocio tra clementino e pompelmo è presente nei supermercati di tutta Italia. Buccia liscia, tra il verde e l’arancio scuro, senza semi ma molto succoso, da più di sette secoli è uno dei frutti più amati del Giappone.
Utile contro l’obesità
Nella seconda metà dell’Ottocento un diplomatico statunitense fece spedire alcuni alberi di Myagawa dall’isola di Kyushu, dove proliferavano, in America. In pochi decenni quell’incrocio conquistò anche quel mercato, tanto che, ancora oggi, uno dei centri di maggior produzione, guarda caso, è l’omonima Satsuma, in Alabama. Là una moltitudine di piccoli alberelli dalla fitta chioma produce ogni anno una quantità impressionante di questi preziosi frutti: contengono infatti vitamina c, acido folico, beta-carotene e, in minor quantità, potassio, magnesio e le vitamine B1, B2 e B3. Inoltre, e questo è il valore aggiunto del myiagawa nonché il suo pregevole biglietto per Expo, la sua buccia è ricca di nobiletina, un flavone (cioè un composto chimico di origine naturale, NdR) che potrebbe rivelarsi utile nella lotta al diabete e all’obesità.
Il fascino dell’incrocio
Ma, del resto, incroci e ibridi non sono certo un tema recente nella storia dell’agricoltura mondiale. Le fragole che oggi mangiamo in mille modi diversi, per esempio, sono un incrocio tra la varietà sudamericana e quella europea. Il mapo, per dirne un altro, è frutto dell’unione fra pompelmo e mandarino, per mano di un italiano, l’agronomo siciliano Francesco Russo, negli anni ’70. In principio, raccontano alcuni studi genetici, furono il mandarino, il cedro e il pomelo. Da loro tre, o meglio, dai loro incroci, nacque tutto il resto: dal pompelmo, al limone, all’arancio. E lo studio di tali incroci ha sempre affascinato biologi di ogni ordine e grado: Gregor Mendel, che applicò le leggi della matematica e della statistica per spiegare ai suoi contemporanei le eredità genetiche, passò buona parte della sua esistenza a incrociare varietà di piselli.
Il dilemma Ogm
Ai giorni nostri, invece, si fa un gran parlare di Ogm, segno che la materia, nonostante i secoli, continua ad affascinare e a far discutere. Amartya Sen, già Nobel per l’Economia e da sempre attivo su temi di sviluppo e povertà, qualche tempo fa sulle pagine del Corriere così si espresse sul tema: «È una discussione esagerata. Gli Ogm possono porre alcuni problemi, ma si tratta di eccezioni. Persino la Rivoluzione Verde indiana (il periodo in cui l’India, fra il ’67 e il ’79 riuscì a triplicare la resa delle sue coltivazioni, allontanando così il rischio di carestie) fu biotecnologica. […] A creare problemi non sono le tecnologie ma la cattiva gestione del territorio. Possiamo benissimo combinare le nuove tecnologie con il rispetto della biodiversità. Se non vogliamo chiamarli Ogm, chiamiamoli nuove varietà».