Giuseppe Scionti è ingegnere biomedico e da oltre 10 anni non può fare a meno di studiare le innovazioni in ambito foodtech. Ospite di una nuova puntata di “Italiani dell’altro mondo” ci ha raccontato come nascono le sue bistecche vegetali
«Di me hanno scritto: meno male che è emigrato. Non sono critiche che mi feriscono, ma mi rendo conto che l’innovazione ha bisogno anche di tolleranza. In Italia forse manca su certi aspetti». Il nostro è un paese dove il cibo non è soltanto cultura. In certi casi sfocia in sterili fanatismi acritici, quasi fosse una religione (chiedetelo ad Alberto Grandi, docente di storia dell’alimentazione e autore di Denominazione di origine inventata). Giuseppe Scionti, 36 anni, è nato a Milano da genitori del sud. Ha frequentato ingegneria biomedica al Politecnico per poi prendere un volo direzione Svezia. «Mi sono specializzato in biomateriali e ingegneria dei tessuti», ci racconta. Più di dieci anni fa ha iniziato ad appassionarsi a una delle innovazioni più promettenti e dibattute dell’agritech: il cibo sintetico, quello creato in laboratorio. La sua startup Novameat, con sede a Barcellona, ha linee di produzione per sfornare carne vegetale e collabora con ristoranti e chef. «Le startup nascono per necessità e non per fare soldi. Io sentivo che non potevo perdere questa opportunità».
Cibo sotto attacco?
Il dibattito sul cibo sintetico in Italia è stato riacceso di recente da diversi rappresentanti del governo, preoccupati di difendere le tradizioni di un paese che ha nell’industria alimentare uno dei suoi asset economici più importanti. Soltanto se pensiamo alla carne il giro d’affari è di 30 miliardi di euro l’anno. Alcuni mesi fa ha fatto discutere l’intervento della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, sul divieto di produzione di carne e, in generale, cibo sintetico in Italia. «Il tema non è vietare – ha detto la premier – ma difendere la salute dei cittadini, il nostro patrimonio alimentare dalla sua distruzione, il territorio dal rischio desertificazione, il lavoro dei piccoli produttori assediati da poche multinazionali sempre più spregiudicate».
Giuseppe Scionti non ha rancore nei confronti dell’Italia. Ed è perfettamente consapevole del fatto che la sua carne vegetale – prodotta con estratti di piselli gialli, concentrati di fava, barbabietola come colorante naturale e fibre di alghe – farebbe molta, ma molta fatica a conquistare il cuore dei consumatori italiani. «Dico sempre: non deve essere una copia della carne. Qualcuno potrebbe scoprire che è più buona e salutare della carne. Ricca di omega 3, che la carne non ha». Per fare dimostrazioni rapide e test con gli chef, Novameat usa una biostampante con cui produrre carne sintetica. Per la produzione in serie ci sono invece gli stabilimenti dove è conservato il know how dell’azienda.
Unicorni sintetici
La carne vegetale non è una pietanza nuova sulle tavole (estere). «Ho letto di Impossible Food proprio quando è stata fondata nel 2011», ricorda Scionti riferendosi all’azienda californiana pioniera di questo cambiamento culturale. «E rammento quando nel 2013 il professore Mark Post ha presentato il primo hamburger creato in laboratorio, costosissimo». A rileggere i titoli dell’epoca, le testate italiane raccontavano simili esperimenti culinari presentandoli come curiosità esotiche, dando subito eco alle critiche di chi mostrava legittimi timori sulla sicurezza. «Poi nel 2015 ho scritto al Ceo di NotCo», azienda cilena divenuta unicorno nel 2021 dopo aver convinto investitori che sull’alimentazione sana hanno costruito carriere sportive leggendarie, come l’ex tennista Roger Federer e il pilota di Formula 1 Lewis Hamilton (vegano da diversi anni).
Un’argomento retorico sfruttato contro questi cibi poggia sul fatto che star di Hollywood come Leonardo DiCaprio e miliardari come Bill Gates hanno preso posizioni chiare investendo in progetti che, in un modo o nell’altro, suggeriscono un’alternativa potenziale all’industria alimentare come l’abbiamo conosciuta finora. Che interessi potrebbero avere queste persone, suggeriscono alcuni? Scionti non è però un fanatico e mantiene l’approccio da ingegnere. «Lo ammetto: preferirei mangiare carne. Ecco perché ho iniziato a capire come migliorarla. Con Novameat vogliamo dare un’alternativa alla carne che sia buona, più salutare e meno costosa per le persone».
Il biotech in cucina
Lui che prima del 2018 ha passato anni della propria carriera a lavorare sugli organi ricreati con biomateriali, oggi è attivo in un settore dove le sfide sono altrettante. «Qualche giorno fa uno dei test clinici che abbiamo fatto sulla cornea artificiale è andato bene. Fino al 2018 ho fatto solo ingegneria biomedica. Nessun contatto con il cibo». E nel frattempo l’interesse cresceva. Quelle competenze hi-tech per lavorare nell’ambito medicale oggi possono fare la differenza nel foodtech.
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Ma come va chiamata questa carne da laboratorio? Plant base o carne vegetale, ci spiega il Ceo. Le ragioni per smettere di mangiare carne o ridurne drasticamente il consumo possono derivare da varie spinte personali. Nel caso di Scionti, buttarsi in un business del genere è significato mettere a disposizione un know how in un settore a suo modo di vedere promettente, con la convinzione di poter dare un contributo a sfide in cui è richiesta una visione collettiva. «Secondo i miei studi offrire un’alternativa alla necessità di allevamenti intensivi è la soluzione più diretta alla crisi climatica e al collasso della biodiversità. Gli allevamenti intensivi occupano il 77% delle terre coltivabili del pianeta».
Un cibo non per tutti
Ad oggi Novameat produce per il B2B, vendendo i propri prodotti a ristoranti, supermercati, grande distribuzione. In totale ha raccolto 8 milioni di euro e conta su un team di 22 persone con chef, ingegneri ambientali, biomedici e dei materiali, nutrizionisti ed esperti di industria alimentare. Nel corso della call con StartupItalia Scionti ci ha mostrato in video che in uno dei suoi stabilimenti accanto alla cucina showroom, dove si assaggia il prodotto finale, si sviluppa la linea di produzione.
Ma chi è disposto a comprare questi prodotti? Quali sono i mercati dove la carne vegetale fa salire di più l’appetito? «I più grandi mercati al mondo di carne vegetale sono Stati Uniti, Germania e Inghilterra. Ma per consumo pro capite spicca l’Olanda». Se cibo è cultura all’Italia sarà richiesto un grande cambiamento in questo senso. «Penso che sia come passare dai cavalli alle automobili. Sono sicuro che sia più facile penetrare in un mercato grande e culturalmente preparato».
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Diversi chef esteri hanno già testato la carne di Novameat, inserendola nei propri ristoranti. Se qualche nome di peso si schierasse in Italia potrebbe dare il via a un cambiamento culturale, generando un dibattito animato da chi col cibo ci lavora per davvero. «In Italia noto scetticismo e intolleranza al cambiamento. Questo porta a una lentezza nell’adattamento».