Il grasso vegetale utilizzato per l’80 per cento nell’industria alimentare è al centro di un dibattito perché accusato di essere nocivo alla salute. Molti marchi lo eliminano dai loro ingredienti. Ma Ferrero ne sostiene la qualità
In principio erano i grassi saturi. Poi è arrivato l’olio di palma. La battaglia contro l’olio vegetale oggi più discusso in Italia ha origini lontane. Per la precisione, gli anni Settanta, quando si cominciò a riflettere sulle mutate abitudini alimentari dei Paesi occidentali, sulla crescente incidenza di malattie cardiovascolari legate all’obesità e sulla necessità di ritornare a uno stile di vita più sano passando per corretti comportamenti a tavola. Nel tempo, però, l’utilizzo dell’olio di palma si è diffuso in una serie infinita di prodotti, soprattutto dolciari e da forno, fino a far scattare un allarme per la salute pubblica, da molti ritenuto immotivato a causa dell’assenza di evidenze scientifiche in grado di dimostrare con certezza la sua dannosità. E così, sull’onda della polemica montata negli ultimi mesi, molti marchi hanno deciso di eliminare il grasso incriminato dalla lista degli ingredienti per evitare di venire danneggiati a livello commerciale. Altri, come Kinder e Ferrero, hanno scelto invece di non rinunciarci e hanno sottolineato la qualità elevata dei loro prodotti.
Che cos’è l’olio di palma
L’olio di palma è ricavato dalla polpa del frutto della palma da olio. È solido a temperatura ambiente ed è ricco di carotenoidi responsabili della sua tipica colorazione rossastra. In Europa viene utilizzato dopo la raffinazione, viene privato dei carotenoidi e diventa incolore. Viene prodotto nelle zone tropicali umide, soprattutto in Indonesia e Malesia. L’80 per cento della produzione mondiale viene utilizzata nel settore alimentare, un 19 per cento nella cosmetica e il restante 1 per cento per il biodiesel. I dati del 2011 della Fao, riportati da un documento del febbraio 2016 dell’Istituto superiore di Sanità, parlano di 77 mila tonnellate di olio di palma importate in Italia in quell’anno a fronte delle 40 mila del 2008. L’impiego crescente di quest’olio vegetale si spiega con la scelta di sostituire del tutto i grassi idrogenati ritenuti poco salutari per l’uomo. La sua struttura riesce a donare gusto, friabilità e croccantezza ai prodotti e soprattuto resiste meglio all’ossidazione e all’irrancidimento.
L’olio di palma è composto al 100 per cento da lipidi nella forma di trigliceridi. La maggioranza di questi grassi è quindi satura. Nel confronto con altri oli vegetali come quello di girasole e soia, l’olio di palma mostra un contenuto di acidi grassi superiore alla media e paragonabile solo a quello del burro. Tra gli acidi grassi presenti nell’olio, quello più consistente è il palmitico, presente per il 20 per cento anche nel latte materno.
Nessuno studio ne dimostra la dannosità
È difficile stimare con precisione quanto olio di palma venga assunto ogni giorno dalla popolazione. La sua presenza in prodotti che contengono altri acidi grassi saturi, sia di origine animale che vegetale, ha contribuito a far sorgere dubbi sulla sua dannosità per la salute. L’assunzione di quantità elevate di acidi grassi, che pure sono fondamentali nell’alimentazione soprattutto nei primi anni di vita, è riconosciuta da diverse associazioni mediche e autorità governative tra le quali l’Oms come fattore di rischio per l’insorgere di malattie cardiovascolari come infarto e malattie coronariche. In media l’assunzione di acidi grassi saturi non dovrebbe superare il 12 per cento dell’apporto energetico giornaliero. Secondo l’Istituto superiore di sanità non esisterebbe, però, alcuno studio in grado di dimostrare una specifica caratteristica dell’olio di palma da connettere alla comparsa di qualche patologia oltre a quelle evidenziate e condivise con tutti gli oli contenenti acidi grassi saturi.
Possibili rischi dalla raffinazione
L’European Food Safety Authority (Efsa) nel maggio del 2016, pur escludendo la dannosità intrinseca dell’alimento, ha concentrato la sua attenzione sulla trasformazione che porta l’olio di palma alla sua forma finale. Dall’analisi dell’olio è infatti emersa la presenza di contaminanti da processo a base di glicerolo. Si tratta di sostanze che si generano durante la raffinazione ad alte temperature e sono potenzialmente genotossiche (nocive per il DNA ndr) e cancerogene. I rischi non sono però legati esclusivamente all’olio di palma, ma a tutti gli oli vegetali ottenuti con processi analoghi. Ovviamente esiste un margine di tolleranza per l’organismo umano che è bene non superare per non essere esposti a rischi e preoccupazione. La ricerca scientifica su questi alimenti non è terminata e le istituzioni europee aspettano ulteriori pareri per stabilire gli eventuali provvedimenti da adottare.
Deforestazione e danni all’ambiente
Le accuse nei confronti dell’olio di palma non si fermano al fattore alimentare, ma investono anche le ripercussioni ambientali. Associazioni come Greenpeace da anni hanno sollevato la questione della deforestazione in aree sempre più vaste dell’Indonesia a causa della diffusione delle piantagioni di palma da olio. La diffusione di questa coltura ha determinato infatti la scomparsa di alcune porzioni di foresta torbiera indonesiana con la realizzazione di canali di drenaggio per l’irrigazione e il trasporto dei tronchi. L’eliminazione della biomassa residua provoca un’emissione in atmosfera di 200 milioni di tonnellate di anidride carbonica ogni anno. Inoltre, a differenza della foresta, la piantagione di palma non presenta le stesse caratteristiche di biodiversità ed è dannosa per le specie animali e vegetali circostanti a causa dell’utilizzo di pesticidi e fertilizzanti. A questi problemi si aggiunge anche lo sfruttamento delle comunità locali che spesso vengono utlizzate per la coltivazione della palma al di là di ogni diritto e garanzia del lavoro svolto.
Palm Oil Innovation Group
Per cercare di arginare questo fenomeno, alcune aziende hanno deciso di firmare un accordo per la produzione sostenibile. Il progetto si chiama Roundtable on sustainable palm oil (Rspo) e concede delle certificazioni di sostenibilità a chi sceglie di aderire. Dal 2013 Greenpeace ha lanciato anche un altro piano di azione, quello promosso dal Palm Oil Innovation Group, che punta a una collaborazione tra le multinazionali interessate all’acquisto di olio di palma e le comunità locali che si sostengono solo con il lavoro in quelle piantagioni. L’obiettivo è rompere il legame tra olio di palma e deforestazione e assicurare l’assenza di violazioni dei diritti dei lavoratori.
La scelta di Ferrero
Tra le grandi aziende che hanno scelto di acquistare solo olio di palma prodotto secondo le regole c’è Ferrero. In Italia, la multinazionale è una delle maggiori sostenitrici dell’utilizzo dell’olio tropicale che rimane uno degli ingredienti principali del suo prodotto di punta, la Nutella. In occasione dei 70 anni dell’azienda di Alba, Ferrero ha lanciato un video in cui si fa esplicito riferimento all’utilizzo di olio di palma di qualità: «Proviene da frutti spremuti freschi e da fonti sostenibili ed è lavorato a temperature controllate». A sostenere il colosso dolciario italiano c’è anche il ministero delle Politiche Agricole che si è detto contrario alla campagna di demonizzazione del grasso vegetale. Intanto molti marchi hanno già fatto del palm free il loro slogan principale e oggi è sempre più difficile trovare sugli scaffali dei supermercati prodotti che contengano l’olio vegetale della discordia.
http://https://www.youtube.com/watch?v=8Jtu9gEreNY