Dal sesso dei tartufi alla possibile tracciabilità, fino alla riproducibilità. Lo studio del Dna è già entrato nel pianeta “Tuber”. Anche sul pregiatissimo bianco. E si aprono possibilità…
Non chiamatelo tubero. Il tartufo è il più costoso e prelibato fungo del mondo, un’escrescenza della terra – terrae tuber – capace di esaltare i palati più fini, circondandosi di un’aura magica e una poesia che pochissimi altri prodotti agroalimentari possiedono. Difficile – specie nelle sue versioni pregiate – da coltivare, legato a tradizioni di raccolta ancestrali e segretissime, prodotto dalla stagionalità breve e incerta, sempre più sporadico a causa dell’antropizzazione e dei cambiamenti climatici, il tartufo è un fungo ipogeo, cioè sotterraneo, che cresce e si sviluppa grazie alla simbiosi – detta micorriza – con l’apparato radicale di alcune piante specifiche. Al “Re dei funghi” non basta avere una pianta ospite. Perché si esprima al meglio ha bisogno di condizioni pedoclimatiche particolarissime, che limitano la sua area di raccolta ad un pugno di aree al mondo, giustamente celebrate per la loro naturale predisposizione a questa eccellenza. I paesi più vocati sono l’Italia, la Francia e la Spagna, ma i tartufi crescono anche in Croazia, in Nord Africa, in Cina e oggi, grazie alla diffusione della tartuficoltura, sul mercato si affacciano l’Australia, la Nuova Zelanda e il continente americano.
Focus sul genoma
Il “Re”, tuttavia, rimane assai schivo, tanto che la scienza ha dovuto faticare non poco per capire la sua natura vegetativa. Per sequenziare il genoma del tartufo nero pregiato, ad esempio, ci sono voluti cinque anni di lavoro, dal 2005 al 2010, e altrettanti per mappare il Dna del più goloso e raro tartufo bianco, le cui sequenze sono state rivelate venerdì 16 e sabato 17 ottobre ad Alba (Cn), durante il convegno internazionale Tuber Genomics. Per la prima volta, il Dna del Tartufo Bianco d’Alba è stato presentato al pubblico aprendo uno spiraglio di ricerca scientifica sul più misterioso dei funghi ipogei, finora l’unico prettamente spontaneo, con la prospettiva di migliorarne tracciabilità e tecniche di riproduzione in tartufaie coltivate.
Bianco, nero, uncinato
Nel mondo, le specie di tartufi attualmente classificate sono una sessantina, delle quali 25 sono presenti in Italia, nove commestibili, ma solo sei quelle più comunemente commercializzate. Principe dei tartufi è il Tuber magnatum pico, conosciuto anche come tartufo bianco d’Alba o di Acqualagna, dal nome delle aree in cui raggiunge l’eccellenza. Rarissimo e spontaneo, impossibile da coltivare, la sua ricerca è affidata ai tartufai, che, da ottobre a dicembre, di notte, con cane a seguito, si avventurano nei boschi alla sua ricerca. Il magnatum rappresenta il diamante della terra con prezzi che, negli anni, hanno sfiorato i 5 mila euro al chilo. Il Tuber melanosporum, o tartufo nero pregiato, è il suo fratello minore. Storicamente proviene dall’Umbria e dal Molise, si raccoglie nel periodo invernale e viene prezzato tra i 600 e i 900 euro al chilo. La coltivazione di questo tartufo, al contrario, dà buoni risultati: coltivazioni di nero pregiato sono diffuse nelle regioni del Nord e del Centro Italia, in Francia il 90% della produzione totale proviene da tartufaie. Seguono il Tuber aestivum, o scorzone, tartufo nero che matura da maggio a settembre, il Tuber albidum pico, o bianchetto, diffuso in gran parte dell’Europa, il Tuber brumale, o tartufo nero invernale e il Tuber Macrosporum, tartufo nero liscio, che matura tra settembre e dicembre. Da segnalare infine, il tartufo uncinato detto anche di Fragno o di Borgogna: stessa famiglia dello scorzone, ma, al microscopio, le sue spore presentano aculei uncinati, da cui deriva il nome.
La stagione del tartufo
Sebbene diverse specie si raccolgano tutto l’anno, la stagione del tartufo è senza dubbio l’autunno, periodo in cui gli esemplari più pregiati raggiungono la maturazione e in cui le fiere più prestigiose vendono esemplari appena cavati. La più importanti manifestazione di settore è la Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba, la più celebre e prestigiosa al mondo, in scena nella capitale delle Langhe dalla metà di ottobre fino al 15 novembre. Celebre è anche la Fiera Nazionale del Tartufo Bianco Pregiato di Acqualagna, capitale marchigiana del tartufo, che aprirà i battenti dal 25 ottobre al 15 novembre. In Toscana, segnaliamo la Fiera del Tartufo di San Miniato (14 novembre – 5 dicembre) e la Mostra Mercato del Tartufo Bianco delle Crete Senesi, a San Giovanni d’Asso nei weekend centrali di Novembre. In Umbria la Mostra Mercato del Tartufo Bianco di Gubbio, il 22-25 ottobre; in Emilia Romagna, dal 31 ottobre al 14 novembre si terrà il Festival Internazionale del Tartufo Bianco Pregiato di Savigno, provincia di Bologna, e a Celestano, provincia di Parma, la Fiera Nazionale del Tartufo Nero di Fragno, dal 18 al 25 ottobre di quest’anno.
Prezzi in ascesa: 400 euro l’etto
La stagione 2015, caratterizzata da un’estate piuttosto calda e arida, sta regalando tartufi di buona qualità, ma in scarsa quantità, ragion per cui i prezzi sono decisamente aumentati rispetto all’abbondanza dello scorso anno, garantita da un’estate assai piovosa e umida. Se nel 2014, il Tartufo Bianco d’Alba veniva battuto attorno ai 200 euro l’ettogrammo (prezzi ai minimi storici), oggi i migliori esemplari raggiungono e superano i 400 euro, con un aumento di quasi 100 euro rispetto al prezzo battuto il 1 ottobre 2015. Un’annata che avvicina le sue quotazioni a quella del 2013, con prezzi sui 350 euro, ma è ancora al di sotto di quella 2012, in cui si raggiungevano i 500 euro l’etto. La stagione del tartufo, tuttavia, è appena iniziata. Visto il ritardo, le previsioni annunciano che fino ad inverno inoltrato sarà possibile raccogliere tartufi, di ottima qualità e ad un prezzo più conveniente.
Il sesso dei tartufi
L’allettante mercato del tartufo, la sua rarità e la diminuzione di produzione in un ambiente sempre più antropizzato hanno da sempre stimolato l’interesse per la coltivazione dei tartufi, le cui prime prove risalgono agli ultimi anni dell’800. Per quasi un secolo, tuttavia, la tartuficoltura ha seguito metodologie empiriche e morfologiche con risultati altalenanti, a volte vere e proprie delusioni. Il “campo dei miracoli”, tuttavia, ha ricevuto nuove attenzioni a seguito dello sviluppo della genomica, che, nel settore delle trifole, ha rappresentato una svolta copernicana. Uno dei contributi più interessanti è il lungo lavoro di sequenziamento del Dna del tartufo ad opera del un gruppo di ricerca franco-italiano coordianto da Francis Martin, direttore del laboratorio di Ecogenomics of Interactions dell’Inra di Nancy. L’equipe di Martin ha terminato nel 2010 il sequenziamento del Tuber melanosporum, il tartufo nero pregiato, e nel 2015, quella del magnatum pico, il tartufo bianco. I risultati hanno illuminato aspetti ancora sconosciuti. Uno dei più importanti riguarda il sesso del tartufo, fino a qualche anno fa considerato un funghi omotallico, cioè capaci di autofecondazione. Gli studi di Martin – insieme a quelli del Cnr di Perugia – hanno invece dimostrato che anche i tartufi si accoppiano, preferendo un proficuo scambio di geni rispetto al “selfing”. Sebbene ogni micorrizza possa indifferentemente esprimersi come partner materno, è solo dall’incontro con un sesso complementare che avviene la fruttificazione. Alla base di questo “romantico rendez-vous” ci sono precise chiavi molecolari, chiamate geni di compatibilità sessuale, che devono essere opportunamente attivate da un partner dell’altro sesso.
Mater certa, sul pater è mistero
La scoperta del sesso dei tartufi ha dato nuovo impulso alla tartuficoltura che, accanto alle analisi fisico-chimiche e pedoclimatiche dei terreni di impianto, oggi tenta un approccio genetico. Le piante micorrizzate, cioè predisposte in laboratorio alla simbiosi radicale con le spore di tartufo, vengono inoculate con spore differenziate sessualmente, tentando di “avvicinare” la compatibilità sessuale tra i ceppi e massimizzarne lo sviluppo fruttifero. Restano tuttavia domande senza risposta. Dove avviene la fusione dei due miceli – la parte vegetativa del fungo – dei differenti sessi? Quali sono i fattori biologici ed ambientali che favoriscono la formazione del tartufo? Ma soprattutto, se la parte materna del tartufo è certa ed è stata identificata nelle micorrizze (maschili o femminili), da dove proviene la spora che innesca il processo di fruttificazione? Il mistero del tartufo si gioca ancora sulla componente “paterna”, sul timing della fecondazione e sulle modalità di favorirla.
La tracciabilità
La genomica contribuirà ad un altro fondamentale sviluppo. Si tratta della tracciabilità dei tartufi che, finora, la legge italiana ha colpevolmente ignorato, favorendo di fatto le truffe o la vendita di tartufi dalla provenienza non certa. Allo stato attuale, la legge, datata 1985, prevede l’obbligo di dichiarare in etichetta il paese di origine: come differenziare tuttavia un tartufo bianco istriano da uno raccolto nell’albese se entrambi appartengono alla specie Tuber magnatum pico? Se è vero che, come annunciato nelle ultime ore dal viceministro del Mipaaf, Andrea Olivero, a Roma sta nascendo «un tavolo nazionale sul tartufo per valutare le questioni regolative del settore», gli studi sul Dna del tartufo giocheranno un ruolo importante nella partita della certificazione, in quanto il corredo genetico di ogni esemplare è un incontrovertibile indizio della sua appartenenza geografica. Una certezza che non solo farà bene a tutti i consumatori del “Re”, ma porterà alla creazione di database genetici di estrema importanza per lo studio, la coltivazione e la tutela di un prodotto fragile e ancora decisamente misterioso.