La strana storia della pressa da casa per succhi di frutta e verdura e del suo fondatore. Che, senza aver ancora venduto una macchina, ha raccolto 120 milioni di dollari da Google e Campbell
Juicero è una sorta di centrifuga di nuova generazione. Anche se, a ben vedere, non è affatto una centrifuga ma una piccola pressa. Rientra nella più ampia categoria degli “juice extractor”: in pratica è un attrezzo per farsi dei bei succhi di frutta e verdura pressati a freddo, ormai tanto di moda. Improvvisamente, nel giro di un anno e mezzo con un picco nelle ultime settimane, è diventato il nuovo gadget della Silicon Valley. Il pallino generale dell’ambiente. A finanziare la startup che lo costruisce, fondata da un personaggio singolare come Doug Evans, ci hanno pensato perfino Google Ventures e Campbell, quelli delle zuppe, da poco alla ricerca pure loro di nuove diavolerie da spingere. Sul piatto, insieme ad altri fondi come Kleiner Perkins Caufield & Byers, hanno messo una cifra mostruosa per un dispositivo che non ha nulla (eppure tutto, secondo alcuni) di rivoluzionario: 120 milioni di dollari.
Eppure Juicero non dovrebbe sfoggiare nessuna killer feature. Si tratta di un prodotto già esistente in termini di risultato sfornato (di centrifughe e spremiagrumi ne è pieno il mondo, anche se le minipresse da casa in effetti mancano), costa uno sproposito (è già in preordine a 700 verdoni) ed è lanciato da un fondatore privo di esperienza in ambito hi-tech, un evangelista del crudismo che gira con le scarpe di canapa e ogni tanto mangia qualche verdura bollita “così, tanto per non essere troppo dogmatico”. Sembrerebbe insomma la classica cronaca annunciata di un flop stratosferico. Specialmente in un periodo di “freddezza”, per così dire, nell’epicentro dell’innovazione mondiale. Eppure, per il momento, Juicero è il nuovo gingillo dei nerd come dei manager, degli angel investor come degli ingegneri della Santa Clara Valley. Tutti lo vogliono, tutti lo finanziano.
La Nespresso dei succhi pressati a freddo
Juicero è di tutto un po’. Per capirla bene dovreste pensarla come la Nespresso delle centrifughe. Avete in casa una bella e costosa macchinetta con un solo pulsante e che non dovrete pulire mai (godimento puro). Periodicamente, ordinandole alla società, ricevete a casa delle bustine molto sottili ma pur sempre di un certo spessore, ricordano quelle dell’aspirapolvere, piene di ingredienti freschi preparati a Los Angeles (e un domani chissà dove) che vanno alloggiati nella macchina tramite un comodo sportellino. Chiudete lo sportellino, premete un bottone e in pochi minuti il vostro succo genuino è pronto. Salute.
L’ingrediente tecnologico, oltre alla macchina in sé, è legato al processo di abbonamento e alla verifica di qualità. C’è per esempio l’immancabile app attraverso la quale gestire Juicero e ordini e su ogni confezione c’è un QR Code che viene letto dalla centrifuga per capire se il contenuto è fresco.
Chi è Doug Evans
Dietro c’è appunto Evans, un ex peracadutista dell’esercito statunitense poi datosi alla grafica. Nel 1999 ha incontrato una donna, Danise Mari, che l’ha condotto sulla strada del veganesimo e anche su quella del business. Insieme hanno fondato nel 2006 Organic Avenue, una catena di negozi di succhi pressati a freddo (prima che diventassero di moda) e altri snack vegani poi ceduta per i costi troppo elevati nonostante un certo successo di pubblico, finendone estromessi. Come è chiaro, l’amore per i succhi viene da lontano. Rimasto senza le sue amate bevande ha deciso di rivoluzionare il settore costruendo un gadget nuovo di zecca, di fatto una versione in miniatura delle presse industriali che utilizzava per produrre le bottiglie vendute nei suoi vecchi negozi. Da cosa è nata cosa e gli investimenti sono arrivati con il trascorrere degli anni, dal 2013. I primi a convincersi sono stati quelli di Kleiner Perkins e poi gli altri. Nel frattempo il team si è allargato a esperti di ogni genere, dai meccanici ai programmatori passando per gli esperti di nutrizione.
La moda dei succhi
“Fino a cinque anni fa i succhi pressati a freddo costituivano una nicchia di tendenza, noti solo fra i salutisti – ha spiegato in un recente report Andrew Alvarez, analista di IbisWorld – adesso hanno raggiunto massima popolarità e dato vita a una quantità di nuovi juice bar”. Certo la predilezione di star come Gwyneth Paltrow e Kim Kardashian ha fatto il resto, proiettando questo tipo di estratti al massimo della loro notorietà. Anche se qualcosa potrebbe presto cambiare: lo scorso anno le vendite sono calate del 2% rispetto al 2014, quelle casalinghe del 6%. Tuttavia Evans intende infilarsi proprio in questo segmento, catapultando nelle case dei (ricchi) americani un dispositivo del tutto nuovo. Affascinante, di design e così semplice da usare da ricordare un gioco per bambini.
Se non è fresco, non funziona
Ogni bustina costa fra i 4 e i 10 dollari e ce ne sono di cinque gusti: radici dolci, vegetali, anche in versione dolce e piccante nonché carota e barbabietola. Su ciascuna è stampato un QR code che viene scansionato e confrontato a un database online (la macchina è connessa in Wi-Fi): se qualcosa non va o gli ingredienti non sono freschi, la pressa non parte. Le materie prime arrivano tutte da una ventina di agricoltori della zona, sono lavate tre volte e sminuzzate in forme specifiche.
Sogno o realtà?
Insomma, Juicero è il frutto di un personaggio patologicamente legato alla dieta liquida, quella fatta di frullate, centrifugati e succhi pressati a freddo. L’aspetto interessante è che, ancora prima di vendere una macchina, abbia convinto un circuito d’importanti investitori a sborsare 120 milioni di dollari fuori da ogni garanzia. È pur vero che la piccola pressa s’inserisce in un fenomeno piuttosto di tendenza. E in parte discutibile. Non serve risalire al beverone Soylent, quello dei cibo in polvere ora venduto già in forma liquida creato da Rob Rhinehart. Si parla anche di altri dispositivi come Tovala, un forno a microonde del tutto particolare, in grado di cucinare specifici piatti pronti recapitati a casa o altri personalizzati tramite un’app, o Chime, una macchina per il tè indiano Chai. Chissà se qualcuno di questi arriverà davvero nelle nostre cucine.