La necessità di scalare in fretta cavalcando la febbre da food tech ha portato molte, chiacchierate sigle a correre troppo. Trascurando la sicurezza sotto diversi punti di vista
Kit in abbonamento per cucinarsi piatti particolari (in Italia non ancora diffusissimi). Hamburger e in generale carne a base di proteine vegetali, “allevata in laboratorio”, come va molto di moda ripetere in Silicon Valley e non solo. Servizi di consegna a domicilio sempre più raffinati e articolati.
Insomma, il mondo del cosiddetto food tech è esploso nell’ultimo biennio. Su queste pagine ne diamo conto ogni giorno. Eppure c’è qualche elemento critico che va tenuto d’occhio. La necessità di ogni startup di scalare rapidamente per costruirsi un mercato, accontentare gli investitori (e attrarne di nuovi) si scontra infatti con un core business, il cibo, più delicato di altri in termini di salute e sicurezza.
Alcuni pessimi esempi, dettati dalla fretta di crescere
Un campanello d’allarme, insomma, per raccontare come le cose non dovrebbero andare. Lo ha squillato Quartz, raccogliendo alcuni (pessimi) esempi degli ultimi tempi. Il primo riguarda Blue Apron, uno dei principali servizi di meal kit delivery.
In breve, un reportage di BuzzFeed ha scoperto che, nella fretta di crescere, la società ha non solo assunto lavoratori non qualificati ma si è vista anche sollevare una serie di citazioni per le pessime condizioni in cui li ha messi a preparare i pacchi e a gestire gli ingredienti da recapitare.
“In certi periodi fra 2014 e 2015 abbiamo vissuto una domanda inaspettatamente elevata dei nostri prodotti – ha ammesso il management – questo ci ha costretti ad aumentare velocemente la forza lavoro nei nostri centri di distribuzione e a volte ad affidarci ad agenzie di lavoro interinale”. Insomma, anche quando si incassa un certo successo scalare può essere un problema. E nel mondo dell’alimentazione i passi falsi si pagano ben più che in altri contesti.
I punti critici delle startup del food in Italia
Di simili casi se ne contano in grande quantità. In Italia, per esempio, i punti critici principali sono due.
- Il primo ruota intorno ai servizi di prenotazione di tavoli: spesso i ristoranti individuati (più in passato che ora) risultano chiusi e anche da tempo.
- Il secondo tocca invece proprio il tema del cibo avariato: alcune piattaforme personalmente provate da chi scrive almeno in un paio di occasioni hanno consegnato cibo palesemente mal conservato. Formaggi, pesce e latticini, in particolare, per i quali mantenere la catena del freddo affidandosi al classico servizio dei corrieri espressi è oggettivamente un rischio.
Impossibile infatti gestire certe materie prime con un siberino usa e getta all’interno delle confezioni in polistirolo. Serve una flotta di furgoni frigorifero e la classica logistica del fresco in stile Amazon Fresh.
Dal beverone Soylent alla mayo di Hampton Creek
Tornando negli Stati Uniti, invece, le questioni sono ancora più ampie. Da Soylent, il gruppo dei beveroni inventati dall’ingegnere di San Francisco Rob Rhinehart utile (dicono) a rimpiazzare i pasti che sollevano da tempo dubbi (e denunce, l’ultima la scorsa estate dalla no profit As You Sow per la mancata trasparenza sui livelli di piombo e cadmio nei prodotti) all’ormai celeberrima Hampton Creek.
Di questa ce ne siamo occupati più volte, l’aveva inchiodata Business Insider: la startup fondata dall’ambizioso Josh Tetrick che punta a eliminare le uova dai preparati industriali ha prima affrontato una querelle con le autorità – altro che querelle: è sotto indagine federale – sul tipo di prodotto messo in commercio.
E soprattutto sull’effettiva scadenza della sua maionese vegana, spacciata per sei mesi ma testata solo per uno. Tanto che alcuni hanno parlato di fake-mayo, anche per la presunta portata rivoluzionaria dell’”invenzione”, in buona parte a base di marketing.
La sicurezza, insomma, rischia di essere trascurata. Per questo molte startup che avevano fatto parecchio discutere negli ultimi mesi, da Beyond Meat a Impossible Foods (carne sintetica) fino a Perfect Day, laboratorio di latte sintetico, hanno cambiato strategia rallentando l’approccio al mercato, scegliendo di proporre i proprio neocibi solo in alcuni ristoranti e catene e rendendosi conto che con ciò che finisce nel piatto non si scherza.
Meglio perdere qualche mese del proprio business plan e scontentare qualche investitore piuttosto che accumulare grane e figuracce più complesse da sciogliere.