E’ una delle città più tecnologiche del mondo: ma quando la lotta si fa dura, la necessità aguzza l’ingegno. Ecco cosa si sono inventati i dimostranti
Intelligenza, rapidità, coordinazione. Come in un’arte marziale, i dimostranti di Hong Kong hanno saputo tenere testa alla polizia della città che li assaliva a colpi di gas lacrimogeni e manganelli. Per farlo non sono servite armi, ma solo una buona dose di ingegno, creatività e, certamente, molta organizzazione tipicamente asiatica
Perché la protesta a Hong Kong?
Le proteste nella ex- colonia britannica sono cominciate nei mesi scorsi in opposizione a un controverso disegno di legge che consentiva di estradare in Cina i sospetti, tra cui, ovviamente, gli attivisti pro-democrazia.
Estradare? Ma Hong Kong non è Cina?
Sì. Ma la questione non è così lineare. Semplifichiamo. Colonia inglese fino al 1997, Hong Kong gode di sorta di Costituzione propria, e la giustizia si amministra sulla base del diritto inglese, con il sistema dei precedenti vincolanti tipico della common law.
La formula coniata dal presidente Deng Xiaoping per giustificare l’anomalia di un avamposto sfrenatamente capitalista nella terra della lunga marcia e della rivoluzione culturale, era efficace: “Un paese, due sistemi”. Un grado di tolleranza inusuale in uno stato dove bastava un sospetto per spedire i cittadini a lavorare nei campi di rieducazione. Evidentemente, l’apertura mentale aveva una data di scadenza.
Grazie al passato legame con la Gran Bretagna e alla concessioni, i cittadini di Hong Kong hanno sviluppato l’abitudine a godere di uno status privilegiato. I piani di Pechino, però, sono diversi. La capitale cinese sa ragionare sui lunghi periodi grazie alla stabilità politica, e ha evitato di calcare la mano negli anni che seguirono il 1997. Dopo i fatti di Tienanmen e l’isolamento che ne derivò, non è interesse dell’establishment ripetere l’esperienza. Meglio procedere per gradi.
Nei mesi scorsi un nuovo ponte ha collegato la città a Shenzen e Macao (leggi il nostro speciale). In questa infrastruttura, gli attivisti hanno subito visto la longa manus del governo cinese.
Il processo di attrazione è proseguito con la legge di cui sopra. Le proteste questa volta hanno avuto ragione sul governo, e l’atto è stato ritirato nei giorni scorsi. Ma non è detto che Pechino non ci riprovi.
7 metodi non violenti per difendersi
Il sito Popular Mechanics ha raccolto una lista di 7 modi in cui i cittadini si sono organizzati per resistere alle cariche della polizia.
Vediamoli.
1. Squadre anti-gas lacrimogeno
Proprio come i pompieri che accorrono in caso di incendio, la protesta ha organizzato squadre di pronto intervento in caso di gas lacrimogeno. La rete mostra come le “unità speciali” dotate di mascherina siano in grado di intervenire sul dispositivo che diffonde il gas in maniera rapida ed efficace: per neutralizzare l’agente irritante vengono usati i coni stradali (quelli che delimitano le aree con lavori pubblici) o dei termos riempiti di fango. Facile, economico, e molto, molto efficace.
2. Uno scudo di ombrelli
Gli opliti dell’antichità sollevavano gli scudi per ripararsi dalle frecce ed essere invulnerabili al tiro degli arcieri. I moderni dimostranti di una delle città più tecnologiche del mondo aprono, invece, gli ombrelli e li affiancano stretti anche quando non piove. Non è solo un segno distintivo di questa protesta: è anche un modo per difendersi dai lacrimogeni, e per difendere i colleghi delle squadre antigas dai proiettili di gomma delle forze dell’ordine mentre disinnescano i diffusori.
3. Blutetooth, mon amour
Si è osservato più volte quanto il nostro mondo sia dipendente dall’elettricità. Immaginarsi se un governo decide di tagliare le comunicazioni tra i dimostranti: basta “spegnere” le celle telefoniche in determinate aree della città. Ma la necessità aguzza l’ingegno, e i manifestanti, per comunicare tra loro, hanno riscoperto il Bluetooth, tramite applicazioni per i-Phone e Android che non necessitano delle rete mobile.
4. Armi laser come nei film
No, non stiamo parlando di Star Trek. Ma in una città dove esistono oltre 50mila telecamere a circuito chiuso e il riconoscimento facciale è sempre più usato per riconoscere criminali, i dimostranti non sono certamente al sicuro. Così, oltre alle maschere, hanno fatto ampio ricorso ai puntatori laser, gli stessi che infastidiscono i calciatori mentre sistemano il pallone sul dischetto del rigore. In questo modo, si riesce a rendere più difficile il riconoscimento, e ad evitare qualche guaio in caserma.
5. Elmetti gialli
Si, quelli da cantiere. Sono diventati un simbolo di riconoscimento della protesta, tanto che, durante una conferenza stampa, un gruppo di giornalisti ha indossato l’originale copricapo in segno di solidarietà. Ma non è solo questione di riconoscibilità: la dura plastica con cui sono costruiti li rende particolarmente utili per difendersi dalle manganellate, che, nelle cariche della polizia, sono sferrate anche in testa.
6. Filosofia orientale, da Sun Tzu a Bruce Lee
“Sii come l’acqua”. La massima viene attribuita a Sun Tzu, ma è stata ripresa anche dal mito del kung fu e del Jet Kun Do Bruce Lee. Significa essere in grado di adattarsi, di sparire e riaffiorare all’improvviso. Come i manifestanti, che hanno tenuto in scacco la polizia grazie alla capacità di coordinamento resa possibile da Telegram (quando i cellulari funzionavano).
7. Il ritorno ai gesti
E quando i telefonini non funzionavano perché il governo “spegneva” le celle…beh si torna all’antico e si riscopre la comunicazione a gesti. Diciamo la verità, l’ultima volta che avete visto qualcuno esprimersi in questo modo eravate su un aereo, e a sbracciarsi era la hostess. A Hong Kong, invece, i gesti servivano a segnalare la necessità di proteggersi con gli elmetti, la presenza di gas lacrimogeni (e quindi la richiesta di intervento delle “squadre antigas”) e il bisogno di attrezzi difficili da reperire, ad esempio forbici e utensili utili per costruire le barricate. Il gesto passava letteralmente di mano in mano, e l’attrezzo richiesto arrivava in men che non si dica.