Davide Morosinotto e Samuele Perseo sono gli autori di “Video Games. Piccolo manuale per videogiocatori”: una guida per chi ama i videogiochi, per scegliere quelli giusti e avere qualche pregiudizio in meno
“I videogiochi sono pericolosi. Sono come una droga. Rubano il tempo. Distraggono. Non sono per nulla utili”. Ad abbattere questi pregiudizi ci pensano Davide Morosinotto e Samuele Perseo, il primo scrittore di libri per ragazzi e il secondo sviluppatore. Due teste che si sono messe insieme per scrivere Video Games. Piccolo manuale per videogiocatori: una guida per chi ama i videogiochi ma non solo. Il ben illustrato libro pubblicato da Editoriale La Scienza è uno strumento utile per comprendere e capire questo mondo attraverso un linguaggio che arriva ai più piccoli, agli adolescenti e allo stesso tempo a quei genitori e a quei nonni che faticano a mettere la testa in questo pianeta. I due autori non nascondono nulla. Primo passo: capire che i videogiochi non sono gratis e se lo sono nascondono pubblicità o del gioco stesso o di altri prodotti. Non solo. Morosinotto e Perseo mettono in guardia dai giochi freemium: “Per guadagnare chi inventa certi tipi di giochi deve convincerti a pagare spesso e quindi cerca di farti giocare il più a lungo possibile”.
Lo scopo di questo libro non è solo avvertire dei pericoli in agguato ma narrare la bellezza dei diversi videogiochi per imparare a scegliere quello adatto a se stessi, quello “giusto”
Magari pure quello “sicuro” con l’etichetta “Pegi”, Pan European Game Information, un sistema inventato dai publisher per garantire la sicurezza dei giocatori. Le pagine scritte sono una sorta di cassetta degli attrezzi per gli appassionati perché spiegano cosa e chi si nasconde dietro un videogioco: “Il game designer cioè l’inventore raccoglie tutte le idee e le scrive con ordine in un documento il GDD Game Design Document che diventerà la Bibbia del gioco”. Nel libro non manca una sorta di dizionario per gli appassionati: la netiquette ovvero le buone maniere della Rete. Il fair play, il giocare nel rispetto degli altri. Una sezione, inoltre, è dedicata a come difendersi dal bullismo nei videogame: “Il griefer – si legge – è un giocatore che si diverte a tormentare gli altri, prendendo di mira un avversario più debole, colpendolo a ripetizione, impedendogli di fare qualsiasi mossa. Così anche il troll che si diverte ad offendere gli altri senza motivo insultandoli e riempendo le chat di gioco di commenti stupidi e cercando di confondere gli altri giocatori. Infine il cheater che usa programmi o codici speciali per violare le regole e ottenere dei vantaggi come diventare immortale, rifornirsi di materiali preziosi con un semplice clic o potenziare il proprio personaggio in modi non previsti dal gioco”. L’arma contro tutto ciò? “Non rivelare mai la tua vera identità ma usare solo nickname così da non fornire a un eventuale bullo un’arma potente per attaccarti”. Noi oltre a leggere il libro abbiamo fatto di più. Abbiamo intervistato Samuele Perseo, co-autore del libro.
Questo libro in realtà non parla solo ai videogiocatori?
«Abbiamo cercato di usare un linguaggio, un approccio che fosse comprensibile a tutti e utile ad intavolare una discussione tra chi gioca e chi non lo fa. Può essere utile per un confronto in famiglia, per chi si trova a “subire” i videogiochi. Abbiamo cercato di dare un contributo perché non ci sia passività da parte di mamma e papà e nemmeno preoccupazione di fronte al figlio che passa il tempo davanti al tablet o al personal computer».
Il videogioco oggi è molto più di quello che immaginiamo.
«Oggi si può parlare di comprensione del mezzo o del medium, è un prodotto culturale e va compreso come tale. Va fatto ragionamento trasversale: nel libro cerchiamo di comunicare su più piani. Da un lato il videogioco come prodotto culturale dall’altro offriamo strumenti su come scegliere, come avvicinarsi o capire quale è il più adatto. C’è un terzo livello che a che fare con il consumo: si sono sviluppate formule nuove soprattutto attraverso lo smartphone che viene lasciato nelle mani dei figli».
I videogiochi sono pericolosi?
«Non parlerei di pericoli. Se un bambino leggesse tutto il giorno e non facesse altro perderebbe la relazione con gli altri, l’esercizio fisico. Stesso discorso per i videogiochi. Così vale per chi sta davanti alla TV o al campetto da calcio tutta la giornata. Il concetto è che i videogiochi sono fatti per essere coinvolgenti. Conciliare la passione per il videogiochi con altro è essenziale. Si tratta di diversificare la propria dieta di contenuti».
Secondo lei si possono usare nelle scuole?
«Assolutamente sì. Un singolo videogioco come un film o un fumetto può essere uno spunto di riflessione. A volte un videogioco offre uno spunto per approfondire un tema storico o un’opera letteraria. Ci potrebbero essere delle semplificazioni in un videogioco che permette di navigare nelle città rinascimentali ma dona comunque degli spunti. Inoltre si possono usare strumenti per progetti educativi veri e propri, ci sono già scuole in cui vengono promossi laboratori per i più piccoli, per imparare a programmare. Il linguaggio dei videogiochi è la più felice delle molle per accendere l’interesse dei bambini».