Arte e videogiochi in mostra alla “Play – Videogame arte e oltre”, curata da Fabio Viola e Guido Curto, alla Reggia di Venaria
“Il futuro dei videogiochi saranno il metaverso e il Web 3, e i videogamer entreranno nell’intelligenza artificiale”. A dirlo, a StartupItalia, è Fabio Viola, autore di giochi, scrittore e sceneggiatore, a margine della conferenza stampa di presentazione della mostra “Play – Videogame arte e oltre”, che lui stesso ha curato assieme a Guido Curto, direttore del Consorzio delle Residenze Reali Sabaude, e che resterà aperta al pubblico sino al 15 gennaio 2023 nelle dodici Sale delle Arti della Reggia di Venaria (Torino). Un percorso espositivo che illustra sapientemente la relazione che c’è tra videogiochi e arte e che si interroga sul fatto se il videogioco sia una forma d’arte. La decima.
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“La mostra vuole essere un luogo dove si avvicinano mondi e intensità diverse della cultura. Questa è la sfida. Ed è estremamente interessante perché intellettualmente difficile e complessa poiché si interroga sul rapporto tra realtà e non realtà – afferma Michele Briamonte, presidente delle Residenze Sabaude – Da Cartesio ad oggi i più grandi pensatori si sono interrogati su questo; sulla capacità tecnologica di esperienziare la non realtà che rende particolarmente sfidante comprendere questo legame tra irreale e reale, dove la linea rossa è influenzata dal videogioco. E’ una mostra sfidante ed è interessante per chi, nelle varie generazioni, si è affacciato al mondo dell’entertainment e dell’arte. Abbiamo giocato verso le evoluzioni e identificato alcuni personaggi che si rivedono e si rispecchiano in un loro avatar. Un percorso espositivo sofisticato e complesso che è stato gestito con maestria per renderlo fruibile a tutti i tipi di intelletto“.
Arte e videogames: quale relazione?
Quanto l’arte ha influenzato il mondo dei videogiochi? Che rapporto c’è tra questi due ambiti? E ancora… Il videogioco può essere considerato la decima forma d’arte? Partendo da queste domande ha preso forma “Play – Videogame arte e oltre”, articolandosi all’interno di un progetto che vede, in primis, le tele digitali dei grandi maestri dei videogiochi dialogare con celebri capolavori del passato, e del presente, invitando lo spettatore a riflettere su nuove estetiche, culture, linguaggi, politiche ed economie del XXI secolo. Perché anche a questo servono i videogiochi: a capire come è cambiato il mondo.
Nelle prime sale si ammirano, dunque, le influenze di grandi pittori del passato come De Chirico, Hokusai, Calder, Dorè, Savinio, Piranesi, Kandinsky, Warhol sulle estetiche di videogiochi come Ico, Monument Valley, Rez Infinite, Okami, Apotheon rendendo possibile l’incontro tra il mondo orientale e quello occidentale. La convergenza tra immagine statica, immagine in movimento ed immagine interattiva è al centro dello spazio PlayArt, che porta il visitatore a relazionarsi con artisti viventi come Bill Viola, Banski, Invaders, Cao Fai, Jago, Tabor Robak, il collettivo AES+F e Federico Clapis, che hanno attinto al linguaggio del videogioco per dar vita ad alcune delle loro opere. Il mondo del gaming, poi, è divenuto mitologia contemporanea: l’ultimo anello di una catena testimoniale iniziata oltre 4000 anni fa con l’Epopea di Gilgamesh passando per l’Iliade e l’Odissea, la Divina Commedia fino a giungere ai giorni recenti con Star Wars, The Matrix e Harry Potter. Le due sale dedicate ai temi dell’Eros e Thanatos presentano al visitatore dieci videogiochi che hanno generato profondi impatti nella vita di milioni di persone attraverso le nuove forme interattive di scrittura come Florence, Death Stranding, To The Moon, The Graveyard.
Nella sala dei Maestri si ricordano alcuni dei pionieri dei videogiochi: da Yoshitaka Amano, disegnatore iconico di Final Fantasy al game designer Yu Suzuki; dallo sceneggiatore Christian Cantamessa, al piemontese Andrea Pessino, fondatore dell’americana Ready at Dawn che ha lavorato anche a God of War, Okami e Dexter. Interessante anche la riflessione, iconica, sulla percezione dei videogames nei giovani. “Si può notare, ad esempio, che nel mondo virtuale un ragazzino malato, in realtà fragile, si identifica come un supereroe; un uomo con l’avatar di una donna”, spiega Fabio Viola.
A chiusura, nella sala dei musicisti, un maestro che ha segnato la storia dei videogiochi: Jesper Kyd, a cui si associano le melodie di Assassin’s Creeed. Oggi i videogiochi rappresentano anche un innovativo laboratorio sociale e politico: opere come Paper, Please, Riot, This War of Mine saranno giocabili facendo riflettere sui tempi che verranno. La penultima sala è pensata per diventare uno spazio interattivo e sensoriale con la ricostruzione di quattro ambienti che spaziano da una sala giochi giapponese dei primi anni ’80 fino al futuro metaverso, raccontando la cronologia evolutiva del gaming, per finire al visore. Il videogioco, dunque, va molto oltre il mero aspetto commerciale, giocando anche sulle sfere della psicologia e della psicoanalisi passando per l’arte, con la quale dialoga ed entra in stretto contatto. Un contatto che, dicono i curatori dell’esposizione, andrà anche oltre la Reggia, per essere ammirato nella città di Torino. E riflettendoci il videogioco è già entrato nello spazio urbano: basti pensare a Pokémon Go; oppure agli scatti di un fotografo ottenuti durante una sessione di gioco a “Mafia”: altra frontiera interessante per la stessa fotografia.
I videogames sono arte? Lo spiega Fabio Viola
Sul fatto se i videogiochi rappresentino la decima forma d’arte si è interrogato Fabio Viola. “E’ da questa domanda che è nata la mostra, con l‘obiettivo di usare il videogame come lente attraverso la quale guardare il mondo, analizzando come cambiano l’economia, le tecnologie, le fasi creative. Se sull’arte è abbastanza codificato il processo per ottenere un prestito, nel videogaming no, ed è tutto molto più complicato. Si pensi, ad esempio, ai materiali di pre-produzioni dei giochi iconici che vanno distrutti. Perchè non nascono società in grado di intermediare su questo tema e di conservare, preservare e far conoscere la memoria storica del videogioco? Si pensi che lo stesso Andy Warhol, poco prima di morire, ricevette un’Amiga. Su floppy disk disegnò la sua arte digitale, tra l’85 e l’86. Un grande patrimonio che è, purtroppo, in gran parte andato perduto: un tesoro che, a quel tempo, anticipava l’arte digitale. In questo campo, senza dubbio le startup possono fare la loro parte per preservare e tutelare le origini storiche del gaming, oggi trascurate“.