Da una parte c’è un disegno, dall’altra il testo che viene letto dal cantastorie senza che lo spettatore veda nulla. Ecco il Kamishibai: una sorta di teatro portatile che spesso arriva in un parco, in un’aula, in una piazza a bordo di una bicicletta
Si scrive Kamishibai si traduce “dramma di carta”. Fino a qualche anno fa questa forma di narrazione era conosciuta solo in Giappone ma ora grazie alla casa editrice “Artebambini”, i racconti in valigia sono arrivati anche in Italia.
Che cosa sono i drammi di carta
Per capire bene di cosa stiamo parlando dovete usare un po’ di fantasia e andare a pescare nell’archivio della memoria l’immagine dei cantastorie. Ora provate a pensare ad una valigetta in legno, con due ante che si aprono e una sorta di frontone in cima. Dentro, quando le mani del narratore svelano cosa si nasconde nella valigetta, spuntano illustrazioni di cartone stampate sia davanti che dietro.
Da una parte c’è un disegno, dall’altra il testo che viene letto dal cantastorie senza che lo spettatore veda nulla. Ecco il Kamishibai: una sorta di teatro portatile che spesso arriva in un parco, in un’aula, in una piazza a bordo di una bicicletta. Basta poco a creare la magica atmosfera: il disegno e la voce. Due elementi essenziali di quest’arte che trova le sue radici nel Giappone del XII secolo, quando ad usarla erano i monaci buddisti per parlare ad un pubblico principalmente analfabeta.
Nei primi anni del Novecento la tecnica del Kamishibai era rimasta nelle tradizioni del Giappone e un narratore si spostava da un villaggio all’altro battendo due pezzi di legno per annunciare il proprio arrivo. A seppellire la narrazione di piazza è stata la televisione negli anni Cinquanta. Ma nulla è perduto. In Italia, infatti, c’è chi si è messo in testa di ridare voce al Kamishibai creando laboratori, corsi di formazione e realizzando una valigetta tutta nuova.
“Kamishibai Italia” a Bologna
Non solo. A Bologna in questi giorni è nata persino l’associazione “Kamishibai Italia”, in via Polese 4. Il suo obiettivo è quello di diffondere e promuovere una pratica attraverso la collaborazione di esperti nazionali ed internazionali che insegneranno a utilizzare il teatro ma anche a costruire storie nuove con i bambini.
Ad oggi, infatti, “Artebambini” ha creato 25 albi con testi diversi per bambini di età differenti: dalla “Favola dei caldomorbidi” di Cluade Steiner a “La vespa teresa” di Simona Gambaro, Romina Panero e Paolo Racca a “La lettera” di Antonio Ferrara a “Il cavallo e il soldato” di Gek Tessaro. Inoltre anche l’illustratore Fuad Aziz ha prestato la sua penna per creare quattro storie per il kamishibai: “Il mio colore”; “La finestra viola”; “Come me” e “La mia mano”.
L’intervista
Il papà del Kamishibai in Italia è Mauro Speraggi, pedagogista, esperto di psicomotricità, fondatore di “Artebambini” e direttore editoriale della nota rivista “Dada”.
Quando ha scoperto questo magico strumento di narrazione?
Anni fa alla fiera dell’editoria per ragazzi di Bologna io e Paola Ciarcià girando tra gli stand dei nostri colleghi giapponesi abbiamo visto questa valigetta decorata con all’interno dei fogli e dei cartoni. Chi la esponeva non la produceva ma l’aveva messa in vetrina come simbolo della tradizione dei cantastorie. Da quel momento abbiamo cominciato la nostra ricerca sul Kamishibai cercando di capirne le origini e la sua forza.
Qual è il segreto della valigetta?
Quando abbiamo cominciato a costruirla e sperimentarla tra i nostri amici maestri abbiamo notato che stupiva. Ha lo stesso fascino del palcoscenico e si può rivolgere a tutti in una sola volta, è collettiva. Le illustrazioni e la voce sono protagoniste assolute; il tutto in una situazione che ha delle ritualità teatrali: si accendono le luci, si aprono le ante, si ascolta. Il Kamishibai ha una modalità contemporanea: non possono essere storie lunghe. Su una tavola non ci può essere mezzo capitolo dei Promessi Sposi.
Ha qualcosa in più di un testo
Il libro è personale, si può leggere in due o in tre. Il Kamishibai è per tutti.
Oggi dov’è diffusa questa esperienza?
In Europa siamo solo in due ad averlo riprodotto: una casa editrice in Francia e noi. Abbiamo costruito anche una bici coniugando la tradizione orientale a quella occidentale. In Italia l’arte del Kamishibai si sta diffondendo a macchia d’olio, nelle biblioteche, nelle scuole ma anche nei musei dove trasformano la lezione museale in lettura. Stiamo lavorando anche con le cooperative che fanno da guida nei centri di interesse culturale del nostro Paese. Per spiegare il Colosseo piuttosto che il Duomo di Milano, le guide hanno visto nella valigetta un possibile strumento di lavoro.
Nelle scuole come si è diffuso?
Come strumento di narrazione ma può essere usato anche all’interno di percorsi didattici. Una lezione di storia, di scienze, di geografia può essere trasformata in un’avvincente narrazione fatta di immagini e parole. A Zola Predosa la storia di Bertolini, un pedagogista molto importante, è stata costruita per una valigetta.
Prossimi obiettivi?
Stiamo facendo nascere una realtà a Kyoto che raggruppa le associazioni nel mondo che si occupano della divulgazione del kamishibai. In Italia organizzeremo presto un corso di formazione di alta qualità che punta a coinvolgere appassionati ed insegnanti.