Kingdoms of Amalur: Re-Reckoning è ancora oggi particolarmente avvincente, per questo non dispiace l’opportunità di spolverarlo ancora una volta offerta dal DLC
Giusto in tempo per Natale, a un anno di distanza dall’uscita del gioco base, si è resa disponibile l’espansione Fatesworn di Kingdoms of Amalur: Re-Reckoning.
Benvenuti nel gelo eterno di Fatesworn
Il DLC è ambientato al termine della campagna principale del gioco e aggiunge una nuova storia con circa 5-6 ore di contenuti extra, nuove tracce per la colonna sonora composta dal mitico Greg Kirkhope (Banjo-Kazooie, 007 GoldenEye, Perfect Dark e StarFox Adventures/Dinosaur Planet vi dicono qualcosa?), villaggi e borghi inediti che ci porteranno oltre a cime innevate e a dirupi invalicabili, nell’inospitale regione montana di Mithros, antico rifugio degli almain.
È lì che Telogrus, dio del caos, è difatti emerso per impossessarsi del regno. Ed è lì che dovrete recarvi se, giunti ai titoli di coda di questo remake, siete ancora affamati di quest, dungeon da esplorare, nemici, armi, set di armature e volete portare il level cap dei personaggi al di sopra del livello 50, raggiungendo nuove vette e reclamando nuovi poteri. Insomma, è lì che hanno luogo le avventure di Fatesworn.
La storia dietro Kingdoms of Amalur
Quando uscì Kingdoms of Amalur: Reckoning, il titolo originale di questa edizione rimasterizzata e tirata a lucido, il mondo dei videogiochi aveva ben altri equilibri. La crisi economica (eravamo nel 2012, a quattro anni dal fallimento di Lehman Brothers) aveva appena iniziato a mordere con prepotenza anche le software house e le major inondavano ancora il mercato con titoli tripla A.
Electronic Arts, in particolare, era tra le più attive e si era messa in testa di rinnovare un genere, quello degli RPG di stampo occidentale, che non aveva più saputo dire nulla di interessante dai tempi di Gothic. Per farlo EA ingaggiò un cast di tutto rispetto, capace di mandare in iperventilazione chiunque seguisse quel mondo: a capo del progetto mise Ken Rolston, Lead Designer di The Elder Scrolls – Oblivion e Morrowind, per la trama chiamò R.A. Salvatore, autore fantasy famoso per Drizzt Do’Urden, gli artwork furono realizzati da Todd Mcfarlane, disegnatore di comics e papà di Spawn, mentre al leggio finì Grant Kirkhope, ex compositore per Rare, tra i più rinomati in ambito videoludico. Il dream team partorì un titolo un po’ Fable, un po’ Diablo, con qualche spruzzata di Skyrim e World of Warcraft. Se ve lo siete perso, niente paura: arriverà nuovamente sul mercato col titolo Kingdoms of Amalur: Re-Reckoning.
Da EA a THQ. Cos’è cambiato?
Il primo impatto con l’impianto narrativo di Kingdoms of Amalur: Re-Reckoning è ancora oggi particolarmente avvincente. L’ottimo plot ordito con maestra da Salvatore non è infatti invecchiato e riserva diverse sorprese a ripetizione, evitandoci trame banali e piatte e, soprattutto, diluendo dettagli e nozioni. Si inizia subito con un colpo di scena (il protagonista si trova infatti nella poco invidiabile condizione di essere… defunto) e si prosegue imparando tutto quel che c’è da sapere sulle razze, le vicissitudini politiche e le tradizioni culturali alla base dei regni che compongono Faelandia, l’universo fantasy in cui ci muoveremo.
Avremo presto a che fare con un così gran numero di stratificazioni di vicissitudini storiche che il paragone con The Elder Scrolls (Skyrim, Oblivion, Morrowind) è scontato ma non fuori luogo. Del resto, Kingdoms of Amalur: Re-Reckoning (più che altro, la sua versione originale, Kingdoms of Amalur: Reckoning) non ha mai nascosto di ambire a diventare il principale rivale degli RPG di Bethesda. Non solo: Kingdoms of Amalur sarebbe dovuto diventare una saga e il primo episodio gettava nel calderone le basi per i capitoli successivi, che purtroppo non videro mai la luce per via della scelta, da parte dell’editore (EA), di far fronte alla crisi economica rivedendo la propria strategia e riducendo il numero di IP seguite. Fatesworn non riesce a equilibrare il tiro, a completare un progetto che per certi versi è rimasto un’opera incompiuta, ma comunque per essere un contenuto extra ha dignità da vendere.
Ri-torno in Kingdoms of Amalur: Re-Reckoning
Ci siamo dilungati troppo, ce ne scusiamo, ma era necessario fornire a chi non conosceva l’originale le informazioni necessarie, così come bisognava rispolverarle a chi avesse invece già dimestichezza con i reami di Amalur. Fatto sta che Electronic Arts si è disfatta di questo capostipite in cui pure aveva creduto parecchio e che era anche riuscito a ottenere valutazioni molto positive da parte della critica. Il brand è stato acquistato da THQ Nordic che, ovviamente, insegue il medesimo progetto: creare una saga RPG che sappia stare al passo con le produzioni più acclamate, a iniziare da quelle Bethesda. Come prima cosa, l’editore austriaco ha così deciso di riallacciare i fili del discorso, pubblicando lo scorso 8 settembre 2020 su PC, Switch, Xbox One e PlayStation 4 la remastered. Non capiamo invece perché si sia dovuto attendere tanto a lungo solo per Fatesworn.
Al team originale, la software house statunitense Big Huge Games, THQ Nordic ha affiancato (sostituito?) il proprio studio di Francoforte, KAIKO, già preparato al confezionamento di remastered (i ragazzi hanno infatti lavorato a Legend of Kay Anniversary Edition e a Darksiders Warmastered Edition) ma mai messo alla prova con un titolo tanto complesso e vasto come può esserlo un GDR. Saranno riusciti a rinfrescarlo come meritava?
Un maquillage slavato, Fatesworn incluso
Nì, ve lo diciamo subito. Perché dove Kingdoms of Amalur: Re-Reckoning presta più facilmente il fianco alle bordate dei detrattori è sotto il versante tecnico, che avrebbe dovuto costituire la punta di diamante di un gioco uscito otto anni fa che prova a vivere la sua seconda giovinezza nel 2020. Non è così. La grafica non è mai troppo particolareggiata, alcune ambientazioni sono persino povere di dettagli e, quel che è peggio, i personaggi sembrano tutti “gommosi”, dagli occhi privi di qualsiasi espressività, come nelle produzioni amatoriali. Questo naturalmente non significa che l’impianto visivo sia rimasto immutato rispetto al 2012: qualche miglioramento c’è, semplicemente si fatica a scorgerlo e non siamo di fronte a un titolo che nell’inverno del 2021 possa fare gridare al miracolo. Anzi.
Oggi come allora, diverte ancora (rima)
Se graficamente il gioco tossisce piuttosto frequentemente, rivelando la sua non più giovane età e l’inesperienza di chi ha curato la conversione, fortunatamente a livello ludico l’ossatura ideata da Ken Rolston regge ancora che è una meraviglia. Rolston importò infatti nei files del suo nuovo progetto quanto aveva appreso lavorando negli uffici di Bethesda alla saga di The Elder Scrolls. Ci troviamo quindi di fronte a un titolo molto simile per dinamiche a Skyrim e Oblivion, che permette al giocatore di esplorare fin da subito un mondo di gioco assai vasto e variegato, dopo che – naturalmente – si ha creato il proprio alter ego scegliendo tra le razze disponibili. Il nostro eroe sarà una sorta di Frankenstein: riportato in vita da uno scienziato senza che lo avesse chiesto, si aggirerà per il mondo tentando di capire cosa lo abbia condotto a una prematura dipartita e, soprattutto, in cerca di uno scopo (verrà infatti soprannominato il “Senzafato”, perché è il solo a non avere un destino che lo attende, avendolo già incontrato). Quanto detto per il gioco base vale ovviamente pure per Fatesworn.