L’idea è nata da tre giovani studenti dell’Università di Cagliari che hanno fondato la startup IntendiMe. Tra questi Alessandra Farris, figlia di genitori sordi dalla nascita, che è partita dalla sua esperienza personale per provare a cambiare (un po’ alla volta) il mondo delle persone con deficit uditivi
L’idea è nata dalla “voglia di fa suonare il mondo silenzioso”, quello delle persone sorde, che Alessandra Farris conosce da sempre essendo una “CODA” (children of deaf adults, figlia di genitori sordi). Ma anche dall’incontro tra quelli che sarebbero diventati i soci fondatori della startup IntendiMe, in occasione del ContaminationLab dell’Università di Cagliari. È lì che Alessandra Farris, Giorgia Ambu e Antonio Pinese si incontrano, formano un team e dopo un brainstorming trovano un’idea che si sarebbe rivelata vincente: sviluppare una tecnologia in grado di rilevare qualsiasi fonte sonora e trasformarla in una notifica vibrante e luminosa per smartwatch. “L’idea è nata dalla mia esperienza personale – racconta Alessandra – abbiamo deciso di concentrarci su un problema che conoscevo da vicino. L’obiettivo era far sentire i suoni quotidiani ai miei genitori. E non solo”. A tal fine, poco dopo la fondazione della startup, al progetto si è aggiunto anche Leonardo Buffetti, ingegnere elettronico sordo.
Come funziona KitMe
KitMe – questo il nome della tecnologia che sarà disponibile da novembre – è composto da cinque sensori universali, uno smartwatch e l’app. I sensori sono in grado di rilevare qualsiasi fonte sonora e possono essere applicati ovunque: dal campanello di casa al telefono fisso, dal timer fino all’allarme antifumo. “L’unico limite è la fantasia” precisa Alessandra. “I rilevatori di suoni sono removibili e possono anche essere trasportati con facilità in altri luoghi – la casa vacanza, la scuola o l’ufficio – per rispondere alle esigenze dell’utente”.
Ogni fonte sonora può essere registrata con il nome che si vuole e associata a una notifica personalizzata, con il nome, l’icona, il colore e l’intensità di vibrazione che si desidera e che viene impostata direttamente dall’utente. Quando l’oggetto su cui è applicato il sensore emette una vibrazione sonora, il dispositivo la rileva e la trasmette in tempo reale allo smartwatch che vibra e si illumina mostrando sul display il nome del sensore che si è attivato. L’app, infine, permette di configurare più sensori e smartwatch contemporaneamente e di gestire tutto il sistema.
Un servizio clienti accessibile a tutti
Il sistema brevettato – che durante il lockdown ha chiuso un round di finanziamento di 2,3 milioni di euro – ha il vantaggio di avere anche una sveglia vibrante integrata, una funzione di richiesta di aiuto, la funzione cercapersone e la chiamata tra smartwatch. Più altre novità a cui il team sta ancora lavorando per aumentare le potenzialità dello strumento. E che verranno rese note solo a fine settembre, in occasione del prelancio di KitMe.
Infine, a disposizione degli utenti, un servizio clienti accessibile e senza barriere, di cui Alessandra va particolarmente fiera: “Ci teniamo molto – sottolinea – perché spesso i servizi clienti non sono accessibili a tutti e noi invece vogliamo dare questa possibilità. Ci lavorano persone sorde e udenti e l’idea è di offrire tutte le modalità di comunicazione possibili, in modo che ciascuno possa scegliere quella che preferisce, per esprimersi liberamente secondo le proprie abitudini ed esigenze. Perché non tutti comunicano allo stesso modo. Per esempio si può optare per una videochat nella lingua dei segni o in lingua italiana, oppure si può preferire una chat istantanea”.
L’inclusione e l’interdisciplinarità
C’è un altro aspetto a cui Alessandra e i suoi soci tengono molto ed è l’inclusione nel team di persone con esperienze e mentalità diverse. “La famosa interdisciplinarità che ci hanno insegnato all’Università di Cagliari e che viene sempre tanto decantata, ma non sempre messa in pratica” aggiunge Alessandra. Non nel caso di IntendMe che, invece, questo aspetto lo ha sostenuto appieno creando un ambiente di lavoro variegato che valorizza la diversità e la professionalità di tutti senza alcun tipo di barriera. “Veniamo tutti da percorsi di studi ed esperienze personali diverse – afferma – che spesso sono agli antipodi. Eppure siamo riusciti a creare un mix equilibrato e armonico che ci ha permesso di arrivare sin qui”.
Fondamentale, per esempio, è stato il contributo di Leonardo e di altre persone sorde che hanno portato allo sviluppo di tutta la tecnologia, dando un riscontro immediato delle loro esigenze e di cosa andasse migliorato. “È importante, iniziare fin dalla fase di sviluppo del prodotto a coinvolgere le persone a cui questo è destinato” commenta Alessandra. “Perché molto spesso non si tiene conto delle esigenze dell’utente a cui la tecnologia è rivolta. Non bisogna mai correre il rischio di dare per scontati alcuni aspetti, per questo fin dall’inizio abbiamo coinvolto le persone sorde nel processo di validazione per poi proseguire a lavorare insieme”.
Semplicità d’uso
La linea di dispositivi sviluppati da IntendiMe è unica per tutti gli utenti che hanno deficit uditivi di vario livello. Ma questo è un target estremamente variegato, a cui appartengono persone di tutte le età, dai nativi digitali ai meno esperti di tecnologia. Motivo per cui KitMe doveva anche essere facile da usare per chiunque. Per questo il team ha cercato di creare qualcosa che non solo rispondesse alle esigenze del target, ma che fosse anche accessibile dal punto di vista della facilità dell’utilizzo e del prezzo.
“Quando crei una soluzione che può migliorare la vita delle persone devi assicurarti che chi avrà accesso a questa soluzione sia anche in grado di utilizzarla” riferisce la giovane startupper sarda. “La nostra missione è migliorare la loro vita rendendoli indipendenti, liberi e al sicuro. Ma se offriamo un dispositivo che per essere utilizzato richiede l’aiuto di un’altra persona, allora stiamo sbagliando. È fondamentale che ogni persona sia in grado di fare tutto da sola. Per questo abbiamo cercato di rendere tutto immediatamente comprensibile e fruibile”.
Cambiare le cose un po’ alla volta
Nel futuro di Alessandra c’è ancora la voglia di continuare il lavoro di startupper nato quasi per caso. Perché le idee da mettere in pratica sono ancora tante, così come la voglia di cambiare il mondo, un po’ alla volta. Nel loro piccolo, per esempio, durante il lockdown, hanno raccolto tutte le informazioni disponibili sulle mascherine trasparenti che consentono alle persone sorde o con deficit uditivo di leggere il labiale. Hanno creato una mappa delle mascherine prodotte e distribuite in Italia e l’hanno pubblicata sul loro blog – con una grandissima diffusione – perché le informazioni erano molto frammentarie. Grazie a questo lavoro molte persone hanno saputo dell’esistenza delle mascherine e hanno potuto reperire il dispositivo. “Abbiamo ascoltato le esigenze delle persone sorde” commenta. “Mio padre, per esempio, non voleva neanche uscire di casa perché non sentendo e non riuscendo a leggere il labiale era un incubo anche solo fare la spesa. E come lui ci sono tanti altri”.
Un mondo senza barriere
“Io sogno veramente un mondo senza barriere” conclude Alessandra. “Dove le prime a cadere siano quelle culturali e poi anche sensoriali, architettoniche e così via. Mi piacerebbe continuare non soltanto a creare soluzioni che possano avere un impatto positivo sulla vita delle persone, ma anche a fare informazione e sensibilizzazione perché non è ancora abbastanza. Quando tutti smetteremo di guardare una persona e pensare che sia diversa o deficitaria in qualche modo, allora per me sarà già un grande traguardo. Ma la strada è ancora molto lunga”.