Il guru della comunicazione pubblicitaria Paolo @Iabicus Iabichino commenta le scelte dei brand e analizza le nuove tendenze del linguaggio. Ammonendo le marche nostrane. Perché ci vuole più coraggio. Se ne parlerà anche al nuovo #SIOS18 a dicembre al Palazzo del Ghiaccio di Milano
«Oggi un brand può stare sul mercato e parallelamente occuparsi anche di temi che riguardano la vita delle persone». Me lo ripete come un mantra Paolo Iabichino, direttore creativo di Ogilvy e autore del pluripremiato testo “Scripta Volant” edito da Codice e presto anche audiolibro grazie a Storytel.
© Alessio Jacona
Sapere stare in questo mondo, da protagonisti. Saper leggere con le lenti della contemporaneità questi tempi accelerati e spesso cupi, condivisi e solitari, liquidi e complessi. Riuscire a dire la propria con autenticità, coraggio, determinazione. Senza l’ossessione di distinguersi dal costante rumore di fondo. Paolo lo ha messo nero su bianco anche in suo recente post sul suo blog ospitato su Medium. In modo diretto, senza mezzi termini o ambiguità. Oggi torna a dire la sua con questa intervista, che anticipa il suo intervento allo StartupItalia! Open Summit 2018 (il nostro #SIOS18, che vede già registrati migliaia di iscritti: qui per compilare il form gratuito di partecipazione e qui per navigare le sorprese della festa annuale delle startup italiane e dell’innovazione europea).
E il pensiero va subito alla nuova campagna della Nike, che questa settimana ha fatto il giro del mondo fisico e connesso. Il brand sportivo americano leader di mercato ha fatto una scelta di campo senza precedenti. Ha ingaggiato il campione di football americano dei San Francisco 49ers Colin Kaepernick, messo in panchina dalla sua squadra e messo alla berlina dall’inquilino della Casa Bianca. Il tutto per aver deciso di restare seduto durante l’esecuzione dell’inno nazionale. Una protesta simbolica contro le politiche dell’amministrazione Trump contro le minoranze etniche. «Si tratta di una campagna straordinaria. Di fatto una marca coraggiosa interpreta le tensioni culturali in atto e decide di uscire allo scoperto. La presa di posizione di Nike è da salutare con ottimismo perché il brand oggi non può esimersi dal fare politica. E questa rivoluzione è guidata dai millennials».
L’intervista
Paolo partiamo proprio dai millennials…
«Tutti li inseguono sulle piattaforme. Nessuno invece ha capito che loro scelgono già le marche che più li rappresentano per la loro portata valoriale. C’è un processo di identificazione molto più forte rispetto al passato. Prima c’era una rappresentazione di status con delle scelte. Oggi se vesto Patagonia voglio dire al mondo qualcosa di molto preciso su di me».
Schierarsi, prendere posizione, dire la propria in maniera anche coraggiosa e controcorrente. Paolo, cosa sta accadendo in questi ultimi tempi ai brand?
«Si registra ormai un nuovo modo di stare sul mercato che abbina ad un racconto di prodotti anche un racconto di valore. Ci sono momenti in cui le marche sentono di dover prendere posizioni: d’altronde in una cultura sempre più massificata assistiamo ad una umanizzazione delle marche».