Marco Zappalorto e Simona Bielli raccontano a StartupItalia! gli obiettivi e l’approccio della fondazione che si occupa di innovazione sociale e che da poco ha aperto una sede a Torino
«Vogliamo essere una buona notizia per l’ecosistema italiano». Con queste parole Marco Zappalorto, direttore di Nesta Italia, spera sul futuro della fondazione che è da poco arrivata in Italia. Da Torino dove ha posto la sua sede, lo spin off della fondazione privata nata nel Regno Unito, punta ora a conoscere le differenti realtà che nella penisola lavorano per fare social innovation. L’esperienza di Nesta si intreccerà con quella di un soggetto che da 600 anni sostiene l’ecosistema locale e nazionale, la Compagnia di San Paolo, pezzo di storia del capoluogo piemontese. «Abbiamo trovato una sinergia tra le due fondazioni dato che il presidente della Compagnia di San Paolo Profumo sta sviluppando da un anno una strategia in linea con quella di Nesta, una visione condivisa sulla filantropia sociale innovativa», aggiunge Zappalorto.
Marco Zappalorto e Simona Bielli di Nesta Italia
© Nesta
L’importanza del respiro internazionale
Negli ultimi anni Nesta ha già lavorato molto sull’internazionalizzazione dei suoi progetti. «La storia di Nesta inizia nel 1998 quando era un organo semigovernativo. Per i primi 15 anni abbiamo lavorato solo nel Regno Unito. Poi, da quando siamo diventati una fondazione privata nel 2012, abbiamo lavorato moltissimo al di fuori del Regno Unito perché siamo convinti che l’innovazione abbia bisogno di un confronto con esperienze che sono al di là dei tuoi confini», racconta ancora Zappalorto. «Abbiamo lanciato di recente una piattaforma di digital social innovation dove abbiamo raccolto e presentato i vari progetti europei. E molti sono anche italiani. Il nostro obiettivo è quello di lavorare in Italia con un respiro internazionale», aggiunge un altro membro del team in Italia, Simona Bielli.
Dalla ricerca di soluzioni al supporto delle idee
Il processo pensato da Nesta per individuare soluzioni a problemi sociali è consolidato dalle azioni messe in campo negli ultimi anni: «Si parte dall’identificazione di una problematica sociale, quindi si passa alla ricerca approfondita sulla problematica, per poi iniziare a cercare potenziali metodi per iniziare a risolverla attraverso soluzioni pratiche in base alle quali noi forniamo un supporto monetario o non monetario nella forma di mentoring o coaching. Altra fase fondamentale è quella del testing pratico della soluzione individuata, per capire se è adatta a risolvere quella criticità specifica. I dati raccolti ci permettono di capire se l’idea può essere scalata e in base a questo ci muoviamo per finanziarla e farla arrivare sul mercato», spiega il direttore di Nesta Italia.
Capire l’ecosistema italiano
Il primo passo da fare ora per il team di Nesta è quello di conoscere al meglio l’ecosistema italiano e capirne le potenzialità. Sono quattro gli ambiti di intervento nei quali agirà la fondazione: istruzione, arte e patrimonio culturale, flussi migratori, salute e invecchiamento della popolazione. Ci sono già delle tecnologie sostenute da Nesta che hanno dato prova di essere vincenti: «Good Sam è un esempio molto bello. È una app e un sito per attivare tutte le persone abilitate al pronto soccorso che si trovano in un’area in cui c’è qualcuno che abbia bisogno», racconta Simona Bielli. «In nessun caso, comunque, replicheremo in Italia soluzioni sviluppate all’estero così come sono. È sempre necessario adattare le idee al contesto in cui devono essere applicate», ci tiene a precisare Zappalorto.
Il dialogo con chi ha esperienza
Al momento il team di Nesta è in formazione e presto arriverà a 7-8 persone che saranno occupate nelle fasi di ricerca e di cura dei progetti. Fondamentale sarà parlare con gli attori dell’innovazione che abitano in ogni parte del paese: «Dialogheremo con le persone giuste che possano aggiungere valore a un progetto. Non abbiamo intenzione di imporre un metodo, ma ci confronteremo con chi ha esperienza dell’ecosistema, lavorando in partnership come è sempre stato fatto anche a Londra», conclude il direttore Zappalorto.