Secondo Massimo Di Giannantonio, presidente della Società italiana di psichiatria: “la grande emergenza è l’arrivo di una rilevante ondata di disturbi psichiatrici e psicosociali, legati alle condizioni globali della pandemia di Covid-19”. A fronte di un possibile aumento dei casi, manca però un potenzialmento delle risorse
Tutti noi abbiamo visto e vissuto concretamente la pandemia virologica, con impresse le immagini delle terapie intensive, dei convogli militari che hanno trasportato le bare dei caduti per Covid e i ricordi del lungo lockdown casalingo. Passata la fase di emergenza sanitaria acuta, siamo scivolati ed entrati nel vivo della seconda pandemia, quella economica, che rischia di creare altrettanti danni per un numero importante di italiani.
Ma c’è una terza pandemia, da tempo annunciata da tanti, ma più invisibile delle altre due, per la quale forse non si sta facendo abbastanza. Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Salute Roberto Speranza, lo aveva ricordato già mesi fa – come molti altri d’altra parte – che erano in atto tre pandemie contemporaneamente, con quella relativa ai disturbi mentali che avrebbe portato disagi a cittadini e operatori sanitari e di cui avremo visto le conseguenze solo in seguito.
Uno tsunami di disturbi mentali
Massimo Di Giannantonio, presidente della Società italiana di psichiatria (SIP), lo ribadisce: “Accanto alla pandemia sanitaria di Covid-19, la grande emergenza è l’arrivo di una rilevante ondata di disturbi psichiatrici e psicosociali, legati alle condizioni globali della pandemia”. In particolare Di Giannantonio si riferisce a una serie di fattori che potrebbero aver innescato diversi disturbi mentali. Come l’incertezza sulle capacità del Servizio sanitario nazionale (SSN) di limitare la pandemia; il timore che possano infettarsi familiari di primo grado; l’impossibilità per centinaia e centinaia di famiglie di celebrare le esequie dei famigliari morti per Covid o altre cause, che ora si trovano in una condizione di stress ambientale e psicosociale elevato. Ma non solo, restano vive le preoccupazioni economiche, legate in generale alla tenuta del sistema, ma anche al privato, al rischio per la propria famiglia e i propri figli, di un futuro incerto.
Gli effetti degli “arresti domiciliari”
Infine c’è il tema lockdown, una condizione secondo Di Giannantonio equiparabile agli arresti domiciliari, che ha esposto gli italiani a diversi disturbi reattivi. Dall’alterazione del ritmo sonno-veglia, alla comparsa di sintomi legati ad ansia e depressione, fino ai disturbi somatoformi, cioè disturbi mentali che si esprimono con sintomi fisici. Affermazioni confermate da un’indagine nazionale svolta dal laboratorio di Maurizio Bonati, capo del Dipartimento di Salute pubblica dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs di Milano, che dal 6 al 20 aprile ha condotto una ricerca online, con un questionario di 48 domande. L’effetto psicologico della quarantena è stato valutato con il “Covid-19 Peritraumatic Distress Index (Cpdi)”, un test validato in Italia e in altre nazioni.
I dati dell’indagine del Mario Negri
Su 35 mila adulti che hanno partecipato alla ricerca (circa il 60% erano in Lombardia), il 53% ha riportato un impatto psicologico nel corso del periodo di quarantena, da lieve a grave. Tra i disagi psicologi segnalati, il 10% ha riportato sintomi depressivi di moderata-grave entità; il 5,6% sintomi moderati-gravi di ansia e il 4% sintomi fisici di moderata-grave intensità. Oltre a questo va considerato il rischio per gli operatori sanitari di sviluppare un disturbo post traumatico da stress. Così come per i pazienti affetti da Covid-19 che sono sopravvissuti alla terapia intensiva. I quali, secondo il Covid Trauma Response Working Group, un gruppo di psichiatri inglesi, dovrebbero ricevere controlli regolari per almeno un anno.
Adolescenti…
Senza dimenticare gli adolescenti, tra cui, secondo Sonia Castelli, psicoterapeuta milanese dinamico-esperienziale, potrebbero essere aumentati i casi di sindrome di hikikomori (termine giapponese che si riferisce a un ritiro sociale in cui i ragazzi si rinchiudono nelle loro stanze, mantenendo lo schermo del loro pc o smartphone come unica finestra sul mondo). “Oggi sempre più giovani non accettano il loro corpo, hanno una bassa autostima e non si sentono in grado di affrontare la competitività e le sfide della vita” spiega Castelli. “Disinvestono dal reale, optando per la creazione di un alter ego virtuale, il proprio avatar, attraverso cui intrattengono relazioni sociali, con chat o videogiochi online. La mediazione della rete li tutela da possibili delusioni e li libera dal peso di aspettative spesso troppo alte. La quarantena può aver enfatizzato questa tendenza ‘dematerializzante’”.
…e bambini
I bambini invece, secondo la psicoterapeuta, hanno subito gravi limitazioni nel non poter usare il loro corpo all’esterno delle mura domestiche. “La nostra visione adultocentrica ci porta spesso a dimenticare che i loro bisogni sono diversi dai nostri. I bambini necessitano di fare esperienza del corpo attraverso esperienze multisfaccettate utilizzando i loro sensi (come immergere le mani nella terra, saltare in una pozzanghera…)” aggiunge Castelli. “Sono per natura piccoli scienziati desiderosi di comprendere il mondo. Gli spazi aperti supportano il naturale sviluppo sensoriale. Il processo esplorativo non può ridursi a conoscenze bidimensionali veicolate da uno schermo. Di fronte a un prolungato periodo di paura per i pericoli rappresentati dal Covid-19, alcuni bambini potrebbero reagire con un disturbo d’ansia da separazione. Si tratta di una reazione d’intensa preoccupazione di fronte a qualsiasi momento di distacco dal genitore per il timore che possa succedergli qualcosa di negativo”.
Le stime previste sulla pandemia dei disturbi mentali
Tutto questo ha portato la SIP a stimare – secondo le prime avvisaglie – che, a un quantitativo complessivo di 900mila italiani attualmente in carico ai servizi territoriali e ai reparti ospedalieri del Dipartimento di salute mentale, potrebbe sommarsi un’ulteriore fetta di popolazione pari a 300 mila italiani (soprattutto tra coloro che hanno meno risorse e meno capacità di adattamento). “Motivo per cui abbiamo fatto un appello al governo affinché stanzi maggiori risorse per questa area del SSN. Equiparandola di fatto a quella degli altri grandi paesi occidentali” afferma Di Giannantonio.
Mancano risorse
L’Italia in effetti, come ricorda ancora il presidente della SIP, ha un finanziamento di gran lunga inferiore rispetto a Paesi come Francia, Germania e Regno Unito. I quali destinano a questa area il 10% del finanziamento dei rispetti sistemi sanitari. “I dipartimenti di salute mentale per legge dovrebbero ricevere il 5% dell’intero finanziamento del SSN” aggiunge. “Ma in realtà ricevono tra il 2,9 e 3,7 per cento. Il che si è tradotto nell’ultimo triennio in una drammatica perdita di operatori e posti letti, sia convenzionati che operativi sul territorio. In una riduzione delle attività riabilitative e di prevenzione. Abbiamo chiesto al Governo di essere messi nelle condizioni di fare il nostro mestiere, con le risorse che minimamente ci possono consentire di farlo”.
Le persone fragili
Anche Gemma Del Carlo presidentessa del Coordinamento toscano delle Associazioni per la Salute mentale, lamenta una carenza di risorse economiche destinate a questa area. Da investire in personale e spazi, indispensabili per una corretta presa in carico di persone con disturbi mentali preesistenti, o cittadini che per la prima volta vorrebbero approcciare un percorso di psicoterapia. “Le attese in questo caso, possono essere anche di un anno” commenta.
Racconta inoltre che durante il lockdown i servizi sono stati chiusi e gli utenti sono stati reclusi in casa soli o con i familiari in notevole difficoltà. Mentre le persone inserite nelle strutture non hanno potuto incontrare i loro familiari, provocando loro una forte sofferenza. “Ora i servizi sono tutti ridotti e per rispondere alle nuove regole anti-Covid il servizio che veniva offerto agli utenti cinque volte alla settimana, è stato ridotto a 1-2 volte, per dilazionare gli accessi” aggiunge Del Carlo. “Con le regole attuali ogni operatore può gestire massimo 2-3 persone per volta e i tavoli devono essere distanziati. In questo modo non riusciamo a rispondere ai bisogni di tutti e il rischio è di cronicizzare questi disturbi”. Del Carlo aggiunge anche che i media hanno sempre parlato dell’aspetto sanitario stretto e della conseguente crisi economica, ma non si è data alcuna importanza ai disturbi mentali. “Che in conseguenza sono aumentati del lockdown” sottolinea.
Un esperimento psicologico involontario
Un articolo pubblicato su Scientific American (ripreso da Le Scienze) riporta una frase scritta dalla psicologa della salute Elke Van Hoof della Libera Università di Bruxelles, secondo cui “il lockdown è stato l’esperimento psicologico più vasto che sia mai stato portato avanti, di cui si stanno appena iniziando a calcolare i risultati”. E in realtà non si sa come reagiranno le persone. Secondo lo stesso articolo, due terzi delle persone che si trovano di fronte a una difficoltà riescono a mantenere una stabilità mentale e fisica; il 25% lotta per qualche tempo con disturbi mentali (come depressione o disturbi post traumatici) ma poi si riprende; e infine un 10% sviluppa problemi psicologi duraturi.
Nell’attesa di una risposta da parte del Governo per il potenziamento dei finanziamenti in questa area (Governo che ha preso tempo, aspettando di vedere come l’Europa avrebbe rifinanziato il SSN), Di Giannantonio ricorda che i tempi di incubazione delle malattie psichiatriche – primo fra tutti il disturbo post traumatico da stress – può arrivare fino ai 6-8 mesi successivi al trauma subito. Il nuovo tsunami quindi, potrebbe essere visibile solo tra qualche mese.