Ecco come andranno le cose (anche se ancora nessuno ne parla, almeno non in modo esplicito): tra 10 anni al massimo il sistema mediale globale subirà un cambiamento radicale e irreversibile. È vero, la TV non ha mai smesso di cambiare, sin dalle sue lontane origini: l’evoluzione continua fa parte del suo DNA. Ma niente di quello che è accaduto in passato è nemmeno lontanamente paragonabile a quello che sta per accadere in un prossimo futuro, sia in termini di profondità che di velocità di trasformazione. E questo perché i fattori che stanno determinando questa formidabile mutazione mediale sono tre, tutti di enorme importanza e indissolubilmente intrecciati tra loro.
La TV è in balia della frantumazione digitale
Il primo è quello che potremo definire la “frantumazione digitale”, una frammentazione dovuta alla modalità di visione sempre più online. Nel mese di luglio del 2023 negli Stati Uniti per la prima volta il consumo delle TV lineari (free + pay) è sceso sotto la soglia psicologica del 50% (il 49,6%, per precisione) ed è in continua caduta. Tra non molto anche in Europa raggiungeremo queste percentuali e assisteremo così al declino inesorabile della TV classica (non della TV in senso generale, che è un concetto ben più ampio e che ha ancora un lungo e radioso futuro davanti a sé).
Questo passaggio non è determinato solo dalle grandi piattaforme streaming (Netflix, Prime Video e un’altra manciata di colossi), che si sono, per così dire, “integrate” e hanno ormai conquistato il loro spazio ben definito nel sistema mediale globale. Nei prossimi anni saranno i canali free – AVOD, cioè on demand, e FAST, cioè di flusso – ad avere uno sviluppo esponenziale, trasformando radicalmente il panorama mediatico in una sorta di “digital jam”, affollatissimo e stracolmo di contenuti di ogni tipo.
YouTube, che già adesso è in assoluto la piattaforma più vista sulla TV, con il 9,7% delle views totali (Netflix è al secondo posto con l’8,1%, giusto per dire…), aumenterà ancora di più il suo predominio e diventerà una sorta di ecosistema mediale alternativo. Ma la “frantumazione digitale”, come dice la definizione stessa, sarà all’insegna dell’abbondanza abnorme di soggetti e operatori diversi, in lotta perenne e senza quartiere per ritagliarsi ognuno il proprio posto al sole, piccolo o grande che sia.
IA e TV
Il secondo fattore, di cui si parla ormai abbondantemente (e a volte anche abbastanza a sproposito, a dire il vero), è l’avvento dell’Intelligenza artificiale. Sono ovviamente infiniti i modi in cui l’AI impatterà nell’immediato futuro sull’intera società in generale e sul mondo dei media in particolare.
Quello che ci interessa prendere qui in considerazione sono soprattutto le piattaforme text-to-video, ovvero in grado di generare un intero video a partire da un input testuale, come l’ormai stranota Sora di Open AI e i suoi “discendenti”, tra cui possiamo citare Vidu (il “Sora cinese”) e VEO di Google DeepMind (pronto a essere lanciato nelle prossime settimane). Ma molti altri ancora faranno la loro comparsa a breve, per soddisfare una richiesta di mercato che diverrà sempre più pressante, per la semplicissima ragione che questi tools saranno in grado di generare contenuti di ogni tipo (animazione, fiction e perfino non-fiction) a prezzi ridicoli.
E questi contenuti serviranno ad alimentare (soprattutto) proprio quella quantità di nuove reti online free che tra qualche anno prolificheranno nella “digital jam”. Già ora Fable Studios, un’azienda di San Francisco che si autodefinisce pomposamente la “Netflix dell’AI”, ha lanciato Showrunner, una nuova piattaforma di streaming free (per ora solo ad accesso limitato: c’è una lista d’attesa sul loro sito) che consente agli utenti di creare, scrivere, animare, dirigere, dare voce e modificare episodi di serie animati o di fiction a loro piacimento, utilizzando semplici suggerimenti testuali. E questo non è che un piccolissimo anticipo di ciò che sta per venire…
Ma c’è anche un terzo fattore, che è un po’ sia il collante sia il propulsore dei due precedenti, ovvero quella che possiamo chiamare la “mutazione generazionale”. Se la Gen Z ha aperto la strada, è la Generazione Alpha (che comprende i nati dal 2010 in poi) ad aver rotto definitivamente i ponti col passato. Tanto per cominciare, per questo pubblico il consumo lineare è diventata una modalità di visione abbastanza rara, pur non avendola abbandonata del tutto, perché la sua dieta mediale è più ricca e variegata di quanto comunemente non si immagini.
Ben più significativo è il fatto che questa generazione è cresciuta senza aver sviluppato alcun legame affettivo con i broadcaster “storici” del proprio Paese, che non fanno dunque parte dei ricordi della loro infanzia e non esercitano su di loro alcuna attrazione particolare. Per loro le reti e i canali tradizionali, che per le generazioni precedenti avevano ancora un forte richiamo affettivo e godevano perciò di una posizione privilegiata all’interno della loro dieta mediale, non significano ormai più nulla di speciale, e non godono quindi più di alcun vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza.
Le care (per noi), vecchie (per loro) reti generaliste sono dunque in pratica per il pubblico più giovane solo alcune delle infinite alternative che il “digital jam” metterà loro a disposizione, sullo stesso identico piano di tutte le innumerevoli altre offerte. I canali tradizionali devono e dovranno quindi sempre più conquistare volta per volta l’attenzione dei giovani telespettatori, scontrandosi con decine e decine (e tra poco centinaia) di operatori e spazi mediali online di varia natura, che oltretutto saranno pensati proprio in funzione di questo specifico target, con proposte ad hoc, realizzate da giovani e giovanissimi (ma al contempo anche molto professionali) content creators. Una guerra difficile da vincere, per chi era abituato a essere scelto quasi indipendentemente dalla programmazione proposta.
Riassumendo: ci sarà una quantità straordinaria di canali (forse è meglio chiamarli “spazi mediali”, visto la loro eterogeneità), una tecnologia che permetterà di avere contenuti di buona qualità a bassissimo prezzo e un pubblico giovane ben disposto a guardarli perché non ha nessun vincolo e non prova nessuna forma di attaccamento ai broadcasters “storici”. La tempesta perfetta, appunto.
E dunque i giochi sono definitivamente chiusi per le “storiche” televisioni? Non è detto. Se i network lavoreranno su questi tre fattori chiave e riusciranno a trasferire nel mondo digital sia il loro know-how che la fedeltà al marchio di cui ancora godono, il futuro davanti a loro può essere ancora lungo e (relativamente) prospero. Però si devono muovere in fretta, dannatamente in fretta.
L’esempio inglese
C’è chi lo sta già facendo, del resto. In Gran Bretagna, per esempio, ITVX, Channel 4.0 e BBC iPLAYER non sono semplici piattaforme streaming dove poter rivedere i programmi delle rispettive reti lineari, o poco più. Sono degli ecosistemi ricchi ed eccezionalmente stratificati, dei veri e propri canali alternativi con molti programmi ad hoc, diffusi ad arte anche su ogni altra piattaforma possibile, ma col marchio di rete sempre ben in vista. E i risultati non si sono fatti attendere: ITVX, il servizio streaming del network ITV, dal suo lancio a dicembre 2022 (prima c’era ITV Hub, che offriva comunque un servizio di tutto rispetto), ha superato abbondantemente la soglia di 3 miliardi di streams, 896 milioni dei quali solo nel corso del primo quadrimestre di quest’anno.
La cosa fondamentale è però ovviamente avere i contenuti giusti, pensati per il pubblico più giovane. E anche da questo punto di vista le nazioni televisivamente più evolute si stanno già attrezzando. I broadcaster tradizionali britannici, per esempio, si avvalgono della collaborazione di giovanissimi “digital creators” che, appunto, creano e in molti casi producono anche direttamente contenuti appropriati per il loro stesso target.
Un caso tra tutti: la BBC ha istituito Talentworks, un dipartimento apposito che ha come compito quello di scovare i creator più promettenti e di far produrre loro contenuti coerenti sia con il target di riferimento, sia con i valori tradizionali di rete. Altri operatori – ITV e Channel 4, per esempio – istituiscono regolarmente contests tra i giovani e giovanissimi creators, la cui posta in palio è appunto il finanziamento dei progetti selezionati e la loro messa in onda sulle piattaforme digitali. Il risultato è che l’awareness del brand, tra i 16 e i 34 anni, nel caso di ITVX, supera ormai il 90%, e le ore di visione della piattaforma, sempre su questo target, si sono triplicate.
Anche all’Intelligenza artificiale, secondo fattore fondamentale di questa prossima mutazione mediale, viene data l’importanza che le spetta. Sempre per rimanere in ambito UK, la BBC ha per esempio recentemente rivelato di aver lanciato 12 progetti pilota per esplorare l’uso dell’IA generativa a molteplici livelli, sia produttivi che di marketing, tra cui la creazione di un “BBC Assistant” per fornire un’esperienza interattiva e personalizzata all’interno dei contenuti del network (non si sa molto di più per ora), nonché una serie di Gen AI tools per “aiutare” i giornalisti nel loro lavoro. Ma molto altro si sta muovendo sotto questo punto di vista, anche se, per ora, con la massima discrezione e il più possibile fuori dai riflettori, dato che i risultati potrebbero essere destabilizzanti.
La TV italiana insegue
E l’Italia, in tutto ciò, come è messa? Non benissimo, a dire il vero. I servizi streaming dei maggiori network sono per ora poco più che repository (luogo dove poter recuperare qualcosa che non si è riusciti a vedere sui canali tradizionali), con scarsa offerta originale e una strategia digitale ancora incerta.
E anche per quanto riguarda l’esplorazione di possibili applicazioni dell’IA nei processi produttivi e il coinvolgimento diretto di giovani content creators nella programmazione non siamo messi granché meglio. Si continua a parlare (e a scrivere) molto di cose che ormai appartengono irrimediabilmente al passato, ma poco o nulla sui tre fattori chiave che determineranno la sopravvivenza futura dei nostri principali broadcaster all’interno del “digital jam” prossimo venturo. E intanto la “media mutation” avanza a passi da giganti…