«Comandi fino a quando hai stretto in mano il tuo telecomando» cantava così Renzo Arbore in La vita è tutt’un quiz, inno alla televisione della trasmissione cult di Rai Due Indietro tutta, da lui stesso condotta. Correva l’anno 1988 e giusto per avere chiaro il momento storico, avete memoria di cosa andasse in onda? Per ricordarlo a chi c’era e farlo immaginare a chi non ha fatto in tempo a viverlo, menziono Striscia la Notizia, che in quell’anno nasceva, o il ritorno di Raimondo Vianello al quiz con Il Gioco dei 9 e il battesimo di un altro titolo cult di Rai Tre, Harem condotto da Catherine Spaak che aveva lanciato pochi anni prima Forum su Canale 5.
Palinsesti analogici
Erano ben lontane le serie di Netflix e le challenge di Tik Tok, praticamente inimmaginabili. Era il tripudio della televisione, di quando non si smetteva di produrre nemmeno in estate. Ricordate? Se su Rai i giochi erano “senza frontiere”, Fininvest (eggià, nemmeno si chiamava ancora Mediaset) rispondeva schierando tante “Bellezze al Bagno”.
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Il palinsesto si esprimeva in analogico con un programma dietro l’altro, senza possibilità di fermare o tornare indietro. Fantascienza il vederlo “quando e dove si vuole”. Era tutto un flusso, i contenuti trasmessi erano irrecuperabili se non sperando in qualche replica. Però, 36 anni dopo, quel verso di canzone è ancora attuale, fuori dai doppi sensi arboriani. Anzi sancisce la sintesi di dove si sta consumando la battaglia della televisione del futuro. L’avete sotto gli occhi, ma forse non ci avete fatto caso.
La spontanea evoluzione del telecomando
Prendete in mano il vostro telecomando di casa e guardatelo. Cosa vedete? Se appartiene ad un televisore recente, noterete che manca qualcosa. I tasti numerici. Col passare degli anni, in molti casi sono spariti, sostituiti da rotelle multifunzione o limitati ad un unico pulsante che apre una schermata numerica in cui muoversi con il joystick per selezionare il canale da seguire. Un tempo invece erano gli unici tasti a farla da padrone, così tanto che, in base a quanto fossero usurati, uno capiva le abitudini di fruizione della tv di casa. In compenso sono comparsi tasti diretti per accedere a Netflix. Un caso?
No, per due motivi. Uno ovvio, se pensiamo al cambiamento delle nostre abitudini, cioè il proliferare di un consumo anche delle piattaforme. Più le tv sono diventate connesse e più è diventato naturale da parte delle aziende produttrici di smart tv di facilitare all’utente l’accesso alle App e la loro usabilità. L’altro motivo è storico.
Netflix stava replicando ciò che aveva già fatto nel 1998 quando firmò un accordo con Toshiba per omaggiare ogni acquirente dei lettori Dvd del marchio giapponese di un abbonamento gratuito al servizio di consegna a domicilio dei film in catalogo. Per chi non lo sapesse Netflix era nata nel 1997 per noleggiare dvd che spediva per posta e per farsi conoscere si è imposta proprio intercettando sul nascere direttamente i fruitori del dispositivo principale di utilizzo, il lettore dvd appunto.
Nel 2021, ventiquattro anni dopo e soprattutto abbandonata la matericità del supporto e conquistato lo streaming, l’obiettivo era diventato il televisore stesso. Negli Stati Uniti infatti in quell’anno sono stati lanciati in via sperimentale televisori a marchio Netflix, proprio perseguendo la stessa logica, un po’ come in Italia abbiamo visto fare da Sky con lo Sky Glass.
Televisori dal design accattivante, multi funzione e a costi molto concorrenziali se non addirittura forniti con una quota irrisoria sommata all’abbonamento. Un affare? Per l’utente sarà lui a dirlo, per le piattaforme la messa in atto di un golpe. Occupare il device significa creare nuove abitudini nel suo fruitore più velocemente, scardinando il sistema. Ecco qui la strategicità di “tenere stretto in mano il suo telecomando”, dimostrando che aveva ragione Arbore.
L’idea della TV del futuro
Per quanto abbia scomodato la parola golpe, che fa un po’ facile sensazionalismo, ma che vuole sottolineare il mio apprezzamento per una creatività strategica di marketing al quanto aggressivo, abbiamo anche detto che si tratta dell’evoluzione naturale delle cose. Basta osservare i cambiamenti. Interpretare l’innovazione che questi raccontano e così dar vita a nuove idee. In questo caso l’idea di come sarà la televisione nei prossimi anni. Lasciando ad un altro momento un curioso viaggio alla scoperta della nascita e sviluppo delle piattaforme e delle relative applicazioni, semplificando, possiamo dire che oggi ci troviamo in uno stato ibrido.
Abbiamo gli editori delle tv a flusso che hanno dato vita a concorrenziali OTT. Penso a RaiPlay, a Mediaset Infinity come a Discovery+. E abbiamo piattaforme native che hanno trovato casa nelle smart tv, da Amazon Prime a Netflix, senza dimenticare YouTube che fa una, lunga, storia a sé, come vedremo. Mi fermo a questa semplice fotografia, ma c’è un mondo da raccontare, lo faremo nel tempo. A cosa porta questo stato ibrido? Alla naturale fruizione della televisione sempre più tramite le applicazioni.
È sempre più famigliare infatti che all’accensione della smart tv compaiano e da lì inizi la navigazione. Trovandosi ora dentro la stessa scatola sia la tv intesa in modo tradizionale che in modalità piattaforma, significa che il campo di gioco oramai è lo stesso. Quella che prima sembrava essere una guerra tra device con l’elettrodomestico televisore da una parte e il pc o i supporti mobili dall’altra, ora è un’ibridazione che vede due estremi convergere, diventando qualcosa di sempre più simile.
Come è normale premere 1,2 o 3 cercando i canali del digitale terrestre, è sempre più un gesto quotidiano accedere ai contenuti tramite le App. Oggi giorno avendo riservato a queste ultime anche la possibilità di far fruire al telespettatore una tv a flusso, non è così lontana l’idea di una televisione che si viva non più passando da un canale all’altro, ma da una app all’altra. Voi già lo fate?
Il telecomando… secondo la legge
L’accelerazione di questa evoluzione l’ha provocata lo switch-off al DVB-T2, ovvero il passaggio al nuovo sistema di trasmissione del digitale terrestre che ha portato nel giro di pochi anni al rinnovo dei televisori presenti nelle case degli italiani, connettendoli e quindi aprendoli al mondo di una fruizione sempre più agevole delle applicazioni. Auditel e Censis, in un rapporto di fine anno 2023, hanno sancito il sorpasso tra smart tv (21 milioni) e tv tradizionali (20,5 milioni). Di queste ultime si tratta di una riduzione di oltre il 30% negli ultimi 7 anni, a fronte di un incremento del 300% delle smart tv.
Cambia la modalità di fruizione, cambia quindi il telecomando, processo naturale che però ha trovato un ostacolo. Una delibera firmata dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AgCom) ha previsto che dalla primavera 2025 sarà obbligatorio per i produttori di televisori fornire almeno un telecomando dotato di tasti numerici per accedere ai canali del digitale terrestre. Insomma si chiede di riportare la struttura del telecomando a quella classica che conosciamo per «garantire condizioni non discriminatorie tra tutti gli attori presenti sul mercato», cita il documento dell’Autorità. Parlando però di “almeno un telecomando” è facile immaginare i tentativi per raggirare l’ostacolo. Cosa accadrà?