Square-Enix ripropone un curioso GDR uscito 21 anni fa sulle prime PlayStation nipponiche e statunitensi. Sarà il caso di recuperarlo?
La saga del mitico alberello del Mana è rimasta per anni confinata all’interno dell’arcipelago nipponico. Non se ne conoscono le ragioni, ma in principio Square-Enix pensava che non fosse adatta ai palati occidentali. Ovviamente sbagliava, se ne è resa conto e infatti sta passando gli ultimi anni facendo ammenda e remastered a tutto spiano di vecchi titoli a uso e consumo della platea europea e statunitense. Quest’oggi, con la nostra recensione, ci occuperemo di Legend of Mana, uscito sulla primissima PlayStation all’inizio del nuovo millennio: riuscì a raggiungere le lande statunitense, ma non toccò mai il suolo del Vecchio continente, perciò per molti di voi sarà a tutti gli effetti un titolo inedito.
Da buona Remastered, anche il Legend of Mana di questa recensione si limita ad apportare decise modifiche al comparto grafico e artistico, lasciando però invariate sinossi e meccaniche di gioco. Partiamo dalla prima. L’albero del mana che proteggeva il vasto mondo di Fa’Diel è andato bruciato. Quando la speranza sembrava svanita, però, appare in sogno al protagonista, che scopre così che l’alberello oggi rivive in preziosi manufatti magici.
La trama in realtà si esaurisce qui, perché, per via della sua peculiare natura, il quarto capitolo della saga “Mana” presenta uno sviluppo del canovaccio davvero originale. La bizzarra bestia di Koichi Ishii (papà della serie Mana e co-direttore di Saga Frontier) e Akitoshi Kawauzu (babbo della serie SaGa), difatti, è in realtà un florilegio di side-quest e sottotrame, mentre quasi manca, o è impercettibile, una main quest (o meglio, non va oltre a quanto vi viene detto a inizio gioco).
Già all’epoca ricordo che questa scelta non piacque proprio a tutti: sarebbe stata intelligente se il gioco fosse uscito su GameBoy (sul finire degli anni ’90 era di fatto il solo portatile esistente, non si giocava nemmeno con i cellulari) perché permetteva, come a un buffet, di servirsi secondo il proprio desiderio, piluccando qua e là, facendo il bis di alcune portate predilette e terminare tutto appena si avvertiva la necessità, mentre su PlayStation rischiava di essere solo un capitolo molto corto e apparentemente molto più semplicistico dei tanti GDR che affollarono l’epopea delle console a 32-bit (Sega Saturn incluso).
In realtà la struttura a episodi rende oggi come allora la Remastered di Legend of Mana oggetto di questa recensione un titolo estremamente variegato: nelle buffe, bizzarre, insolite vicende dei nostri eroi virtuali trovano spazio elementi afferenti alla commedia e altri tendenti al dramma, l’epica quanto frangenti molto più leggeri, quasi demenziali. Tutto questo viene reso, su schermo, dalla possibilità di creare come si vuole la mappa del mondo di gioco, sfruttando gli artefatti magici rinvenuti: a seconda delle locations scelte spalancheremo la porta a PNG e side quest differenti.
La medesima semplificazione – solo apparente – ha riguardato anche le meccaniche di gioco: i combattimenti sono stati asciugati delle caratteristiche limitazioni dei GDR e vengono riproposti tramite un combat system ripreso da Trials of Mana in cui, martellando i mostri in tempo reale, occorre di fatto caricare una barra che permette di scatenare attacchi più potenti. Ma il gameplay non si limita agli scontri, si potrebbe dire che ogni side-quest introduce qualcosa in più e non solo a livello di sinossi, ma il gioco, oggi come allora, è avaro di spiegazioni e suggerimenti, perciò molto spesso si rischia di fallire una missione solo perché si ha male interpretato ciò che occorreva fare o addirittura lo si ha frainteso.
Ma, del resto, quando si riprendono in mano videogame così vecchi capita spesso di restare sorpresi dai loro spigoli, da gameplay poco comprensibili e dalla carenza di informazioni, soprattutto se si è imbevuti di titoli attuali, che ci guidano passo dopo passo anche per diverse ore. Se il gioco vi pare troppo difficile, comunque, potrete sempre disattivare gli incontri coi nemici e viverlo come se fosse un puzzle game.
Tutto moderno, come già anticipavamo all’inizio di questa recensione, il comparto tecnico di Legend of Mana, a iniziare dai fondali, disegnati a mano e semplicemente magnifici. E poi ci sono le musiche di Yoko Shimomura (Kingdom Hearts, Final Fantasy XV), che potrete decidere se ascoltare riarrangiate o in versione originale. Insomma, abbiamo per le mani un diamante grezzo che merita di essere riscoperto. Non sarà puro come le gemme che trovate in gioielleria (ma quelle, si sa, vanno a incastonare le corone di Final Fantasy e Dragon Quest, le due saghe principali dello sviluppatore nipponico), ma dopo questa ulteriore lucidatina sarebbe davvero un peccato perderselo.