Americana, era arrivata in Italia con una borsa di studio. Sua l’idea della bambola che ha finanziato tanti progetti Unicef
Aveva “inventato” la Pigotta nel 1988, quando non c’erano ancora internet, sms solidali, dialogatori e le organizzazioni dovevano ingegnarsi per sostenere i propri progetti nei paesi più poveri. Lei era Jo Garceau, americana classe 1938, residente, però, da anni, nel Milanese (a Cinisello Balsamo) dopo il matrimonio con un avvocato. La donna è mancata nei giorni scorsi.
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Come nasce la Pigotta
Era l’inizio del decennio della Milano da bere quando si presentò nell’ufficio di Daniela Gasparini, allora assessore alla Cultura del comune dell’hinterland. Sangue cherokee nelle vene, talento artistico da vendere, Jo Garceau spiegò quello che aveva in mente e trovò disponibilità nell’amministrazione, che mise a disposizione alcuni spazi comunali.
Fu un successo. Il progetto era semplice: chiunque poteva realizzare le bambole (la Pigotta, appunto) a partire da un canovaccio comune: e così nonni, genitori, bambini, a casa, a scuola, presso associazioni e centri anziani in tutta Italia cominciarono a tagliare e cucire impiegando materiali di recupero. Sarebbero poi state vendute in piazza dall’Unicef, e il ricavato destinato a finanziare progetti di solidarietà per i paesi poveri: cure mediche, acqua potabile, alimenti terapeutici, cure antimalaria. Bastava poca stoffa e tanto amore per fare una Pigotta e regalare un po’ di speranza a chi l’aveva persa.
Dai primi banchetti ad oggi sono stati raccolti ben 27 milioni di euro, con un’idea che univa pragmatismo di matrice tipicamente americana e tradizione locale. Il nome viene, infatti, dal dialetto lombardo: le pigotte erano le bambole di pezza del dopoguerra.
La signora si impegnò sin da subito a diffondere la propria idea in scuole e circoli culturali, spiegando come realizzare le bambole e fornendo consigli sui materiali più adatti. I tempi sono cambiati, e oggi, con la Rete, i tutorial sono disponibili online. Il piacere di ritrovarsi per donare una parte del proprio tempo a chi è meno fortunato, però, è lo stesso.