Vedere il mondo a prezzi scontati è un diritto anche se ci porta a rovinarlo? Quanto hanno influito i siti con le offerte dell’ultimo minuto? La domanda è sempre più diffusa tra i viaggiatori. E anche gli operatori se ne sono accorti
L’estate è alle spalle. La stagione dei viaggi no. “Se vedere il mondo finisce per rovinarlo, significa che dobbiamo starcene a casa?” si chiedeva, qualche settimana fa, il New York Times. La domanda non è peregrina. I dati sono impressionanti. Solo nel 2018, 1,4 miliardi di persone hanno compiuto spostamenti internazionali (fonte: United Nations World Tourism Organization): si stima che, entro il 2030, la cifra salirà fino a 1,8 miliardi. Eppure il colosso dei viaggi britannico Thomas Cook ha appena dichiarato bancarotta dopo 178 anni di storia.
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Non solo. La Banca Mondiale ha rilevato che, rispetto al 2000, il numero di viaggi per persona è raddoppiato mentre una persona su dieci lavora in settori collegati al turismo, con un indotto vertiginoso per i territori. Risorse di cui, ormai, molte aree non possono fare a meno. Il fatturato globale del comparto nel 2017 ammontava a circa 1.340 miliardi di dollari. Un fiume di denaro, che ha portato problematiche nuove e costringe a ripensare l’equazione che lega turismo e prosperità. Almeno a lungo termine.
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Overtourism: il prezzo della rivoluzione low cost
Da fenomeno di elite negli anni ’50, la platea di chi fa i bagagli si è progressoivamente allargata. Compagnie aeree low cost offrono biglietti a prezzi stracciati, piattaforme come Booking e Airbnb hanno reso più economico pernottare, favorendo l’incontro tra domanda e offerta e il confronto tra operatori. Spesso non serve neanche una guida: navigatori satellitari e web sono sufficienti per spingersi da soli fino ai confini del globo.
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Le conseguenze non hanno tardato a farsi sentire. Si chiama “overtourism” il sovraffollamento turistico, una dose troppo alta per la capacità delle destinazioni. La classifica delle città sotto attacco è guidata da un’italiana: si tratta di Venezia, un “imbuto” da 20 milioni di visitatori l’anno, 357 in media per ognuno dei 50.000 abitanti del centro storico. Per questo da febbraio è stata inaugurata una tassa di 3 euro a persona per visitare la città lagunare, e nel 2020 il balzello potrebbe triplicare fino a 10 euro.
Ma il capoluogo veneto è in buona compagnia. Da Bangkok a Barcellona, da Amsterdam a Santorini non c’è tregua per i residenti, che sono arrivati perfino all’estremo di manifestare contro i vacanzieri.
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Santorini, da perla delle Cicladi a isola dei selfie
Ma è la perla bianca e azzurra delle Cicladi a raccontare la storia più drammatica, una favola triste a base di sole, selfie e pranzi al sacco. “Santorini ha una conformazione geografica unica che le persone vogliono fotografare subito – spiegava il vicesindaco dell’isola, Loukas Bellonias, a un reporter dell’Economist, impressionato dalla quantità di scatti realizzati dai passanti.
“I social l’hanno trasformata da destinazione di mare fra le tante a meta tra le più popolari del mondo” confessa l’amministratore. Durante i picchi estivi, racconta, le compagnie telefoniche fanno fatica a garantire un servizio regolare a causa dell’enorme flusso di immagini postate.
Ma il turismo mordi e fuggi serve a far soldi, non a proteggere il territorio. Molti vogliono aprire un’attività sull’isola, uno dei pochi posti in Grecia in grado di superare la grande crisi di inizio secolo. Così Santorini è diventata preda di speculatori senza scrupolo. “Dove prima non c’erano che pochi villaggi sparsi – avverte Bellonias quasi citando Celentano – in cinque o dieci anni potrebbe esserci una sola, grande città”.
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Nel nord Europa non va meglio. Mecca riconosciuta dei liberi pensatori con i suoi coffee shop dove la cannabis è legale e il famoso quartiere a luci rosse, Amsterdam rimpiange i tempi in cui si arrivava in città per ammirare i canali o il museo di Van Gogh.
La politica per attirare visitatori ha funzionato talmente bene che l’amministrazione ha cominciato a diffondere appelli per ricordare che ci sono anche altri posti da visitare. I numeri confermano: diciassette milioni di abitanti, diciannove milioni di turisti. Troppo.
Volare? In Scandinavia è una vergogna
E poi c’è l’inquinamento. Nel 2016, due ricercatori pubblicarono uno studio interessante. La conclusione degli studiosi fu che un viaggio aereo da 2.500 miglia scioglie all’incirca 3 metri quadrati di ghiaccio artico. Il movimento anti-volo sta cominciando a riscuotere consensi soprattutto in Scandinavia. In Svezia, racconta il sito Skif, esistono parole che spiegano bene la situazione: come ad esempio”flygskam” (vergogna di volare), “tagskryt” (vantarsi di prendere il treno), and “smygflyga” (volare di nascosto).
“Parecchie persone si sentono in colpa per il fatto di prendere l’aereo – spiega Patrick Whyte, giornalista britannico che copre il settore dei trasporti – Il numero è ancora abbastanza piccolo, ma non vuol dire che non possa crescere, specialmente se il cambiamento climatico diventerà qualcosa di più di una priorità”. La domanda è la solita: “Abbiamo diritto di volare a basso prezzo, se contribuisce a distruggere il pianeta?”
Pare che il passaparola stia cominciando a infastidire i tour operator. Nell’ultimo rapporto semestrale, Thomas Cook lamentava che “il movimento ambientalista che si oppone ai viaggi” starebbe impattando sulla “voglia dei turisti di concedersi una vacanza all’estero”, almeno stando ai numeri della sua business unit nordica.
Viaggiare in nave non è un’alternativa plausibile. Allo stato attuale, anche le più efficienti emettono dalle tre alle quattro volte più Co2 di un aereo per miglio percorso.
Il treno potrebbe rappresentare la risposta. Comodo e rapido su molte destinazioni interne, è poco considerato per i viaggi internazionali, anche perché non è facile prenotare un itinerario oltreconfine. La situazione sta cambiando: siti come Trainline e Loco2 offrono un motore di ricerca che consente di prenotare senza problemi da un paese all’altro. I costi, per il momento, non sono paragonabili: per andare da Londra a Milano centrale il 23 ottobre (data casuale) servono almeno 155 euro, 15 ore e un cambio. In aereo bastano 10 euro e 2 ore, salvo check-in e trasferimento da aeroporto a centro città. Siamo ancora lontani, scrive Whyte, da treni charter, che risolverebbero parzialmente il problema, almeno per chi non ha fretta e può godersi il panorama dal finestrino.
Turismo low cost, la reazione degli operatori: solo green marketing?
Un assunto dell’economia recita che “non esistono pasti gratis”. Ma a volte il prezzo si paga in modi difficile da immaginare. Il cambiamento del mondo come lo conosciamo è uno di questi.
La consapevolezza comincia a prendere piede anche tra gli operatori del settore, attenti a restare al passo con l’evoluzione dei gusti dei consumatori. KLM, compagnia di bandiera dei Paesi Bassi, invita a considerare opzioni alternative all’aereo, mentre le catene di hotel IMG e Marriott hanno bandito le bottigliette di plastica dai propri alberghi.
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Stanno arrivando anche i big del web. Da qualche mese è nata Travalyst, sorta di consorzio formato da Booking, Ctrip, Skyscanner, TripAdvisor e Visa con l’ambizioso obiettivo di migliorare l’impatto dei viaggi. Sponsor d’eccezione è nientemeno che il principe Harry, recentemente accusato di usare jet privati per i suoi spostamenti invece dei più ecologici voli di linea.
Travalyst, si legge sul sito, vuole “utilizzare la propria influenza per promuovere in tutto il mondo iniziative che consentano di preservare le destinazioni, assicurarsi che le comunità locali prosperino e proteggere l’ambiente tramite pratiche responsabili”. Nulla si dice, però, sul modo in cui queste promesse saranno mantenute. In tempi in cui una Business Roundtable non si nega a nessuno, il dubbio è che possa trattarsi solo di green marketing.