Lo show non si è fatto attendere. La paladina dei giovani ecologisti ha attaccato i grandi del pianeta: «Non si è fatto nulla per il clima». La risposta del presidente americano: «Basta profeti di sventura»
C’era una volta il World Economic Forum. Summit per ricchi, anzi, ricchissimi, in grado di regalare ben poche palpitazioni. E infatti aveva luogo nella placida e neutrale Svizzera, che non ha mai gradito ritrovarsi al centro della scena. Il Forum economico mondiale si tiene ancora a Davos, ma quest’anno è stato ravvivato dal match così atteso da essere persino scontato, tra Greta Thunberg e Donald Trump.
Davos è troppo piccola per due figure tanto carismatiche
Da un lato del ring la piccola castigatrice dei grandi del pianeta, dall’altro il bisbetico e irascibile “the Donald”, incapace di avere un occhio di riguardo anche nei confronti dei ragazzini. Da un lato l’eterna sedicenne (sul serio: per buona parte della stampa ha 16 anni da due anni) paladina del green, dall’altro quello che non solo potrebbe essere suo nonno (73 anni) ma è e resta l’uomo più potente del pianeta. Tutti e due sono arrivati a Davos nella stessa giornata. Con queste premesse lo scontro era annunciato, le prime pagine assicurate. E di certo non si sarebbe parlato di economia.
Restano infatti sullo sfondo i temi sociali, l’acuirsi della sperequazione, l’allontanarsi della ripresa economica, l’affacciarsi di una nuova possibile crisi, il rallentamento delle economie emergenti (dopo la Cina, anche l’India ha iniziato fisiologicamente a mordere il freno), esplode invece il dibattito sui temi ambientali. Una riproposizione in salsa green del pastorello che ha la meglio sul gigante cattivo Golia. Senza nemmeno usare la fionda ma impugnando un impronunciabile cartello: Skolstrejk för klimatet (sciopero scolastico per il clima).
«Grazie alla spinta dei giovani sembra che il clima e l’ambiente ora siano un argomento caldo. Allo stesso tempo, però, non è stato realizzato nulla. Le emissioni globali continuano ad aumentare. Dobbiamo iniziare ad ascoltare la scienza e trattare questa crisi con l’importanza che merita» ha incalzato Greta, rimproverando per l’ennesima volta i grandi della Terra che la stavano ad ascoltare.
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«Dobbiamo respingere i profeti perenni di sventura e le loro previsioni sull’apocalisse. Questo non è tempo per il pessimismo ma per l’ottimismo» la secca replica di Donald Trump, che si è prontamente autoassolto sciorinando i successi economici della sua amministrazione: «Sono orgoglioso di dire che gli Stati Uniti sono sbocciati. Abbiamo realizzato cose che il mondo non ha mai visto prima. L’America prospera e vince come mai prima d’ora» e arrivando persino a paragonare la stagione vissuta dagli States al Rinascimento italiano.
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Entrambi i pugili hanno assestato colpi con la medesima disinvoltura con cui li hanno incassati. Entrambi sono rimasti fieramente in piedi. È la formula (divenuta un rito) ad accasciarsi al suolo, ad apparire stanca. Il match Greta contro Trump è già andato in scena altre, troppe volte. Sembra persino che l’uno abbia bisogno dell’altra, chi per apparire ancora più pura e innocente, chi per porsi in modo persino più minaccioso, spregiudicato e potente. Il World Economic Forum, con tutti i problemi che porta e le sfide che mette sul tavolo, risulta invece appiattito a spettacolo televisivo sulla falsariga di Sanremo: polemiche tante, contenuti pochi.