Cementificazione, traffico di animali, incendi portano alla criminalità qualcosa come 16,6 miliardi di euro, 2,5 in più rispetto all’anno precedente, spartiti dai 368 clan censiti da Legambiente
Secondo quanto emerge dal recente rapporto sulle Ecomafie di Legambiente, storie e numeri della criminalità ambientale in Italia, nel 2018 il giro d’affari complessivo del business delle ecomafie ammonterebbe a 16,6 miliardi di euro, di cui 3,2 miliardi per commercio illegale di animali e piante protette, 2,8 miliardi nell’ambito dei rifiuti speciali, 2,3 miliardi derivanti da operazioni di abuso edilizio, 1,4 miliardi dal comparto agroalimentare e 1,1 miliardi di euro per l’inquinamento ambientale. In misura minore ma pur sempre rilevante ci sono l’archeomafia cioè i furti di opere d’arte (600 milioni di euro di indotto) e la corruzione ambientale (500 milioni di euro).
Foto: Legambiente
Una legge contro le ecomafie
La Legge 68 sugli ecoreati, vigente dal 2015 è stata applicata nel 2018 1108 volte, nella metà dei casi per illeciti e nell’altra metà per delitti veri e propri, per un totale di 1939 persone denunciate e 333 sequestri. La fetta più grossa di reati riguarda l’inquinamento ambientale (218 reati), il disastro ambientale (88 reati) e il traffico organizzato di rifiuti (86 reati).
Il settore che ha visto la maggior parte delle infrazioni e degli arresti è tuttavia quello agroalimentare. Solo nel 2018 ci sono state 44.795 infrazioni e 158 arresti. Numeri sei volte più grandi di quelli del secondo comparto più vessato dall’ecomafia: quello dei rifiuti, con 7.984 infrazioni e 93 arresti. Ci sono state poi 7.291 infrazioni e 23 arresti che riguardano il commercio illegale di animali, corse e combattimenti clandestini, 6.578 infrazioni e 35 arresti nel settore del cemento, 2.034 e 9 arresti per incendi dolosi e 634 furti di oltre 60 mila opere d’arte (recuperate nel 2018), che hanno prodotto 36 arresti.
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Geograficamente il gradiente nord sud è ancora molto evidente, ma non significa che al nord il problema non sussista. Le famiglie mafiose coinvolte nelle ecomafie nel 2018 sono state 368, mentre 23 sono le amministrazioni comunali sciolte per condizionamento mafioso. Un’infrazione su sei è avvenuta in Campania (14,4%), il 12% in Calabria, il 10% in Puglia e il 9,8% in Sicilia. A seguire troviamo il Lazio (7,7% delle infrazioni), la Toscana (6,8%) e la Lombardia (5,4%). Proporzionalmente con la dimensione regionale e con la densità di popolazione, Emilia Romagna e Piemonte mostrano tassi di infrazioni dimezzati rispetto alle regioni sopra citate.
L’agroalimentare: boom di infrazioni e sequestri
Questo settore ha visto una crescita del 15% nel numero delle infrazioni commesse rispetto al 2017, mentre i sequestri sono aumentati del 290%. La fetta più consistente riguarda il commercio nel settore ittico, seguito dalla ristorazione, e dal comparto sanitario e farmaceutico.
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Solo in termini di danni al Made in Italy (olio di oliva, passando dal parmigiano reggiano, mozzarella di bufala, pomodoro e vino) si sono contate quasi 123 infrazioni al giorno. Il tipo di reato contestato sono prevalentemente truffe per ottenere finanziamenti pubblici a sostegno di alcune colture e il fenomeno del caporalato che sfrutta la manodopera in nero.
Cementificazione selvaggia
Si stima che l’abusivismo edilizio, fra nuove costruzioni e adeguamenti, produca più di 20mila case ogni anno. Fra questa cementificazione selvaggia, la mancata sicurezza, il caporalato nei cantieri e l’indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato, i guadagni ottenuti grazie a false attestazioni o ad omissione di informazioni alla Pubblica amministrazione, il 2018 ha registrato il 68% dei reati in più rispetto al 2017.
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Geograficamente, la metà delle infrazioni è avvenuta nelle quattro regioni a tradizionale insediamento mafioso: 1169 in Campania (Avellino, Napoli e Salerno in testa), 769 in Calabria, che detiene il record di 21 arresti in un solo anno, 730 in Puglia, 514 nel Lazio e 480 in Sicilia. Il nord è tutt’altro che esente dal fenomeno. Maglia nera alla Provincia autonoma di Trento con 158 infrazioni, e alla regione Veneto con 306, la metà solo in provincia di Venezia.
Traffico illegale di animali
Traffici di cani e gatti, bracconaggio, contrabbando di fauna selvatica, scommesse illegali su combattimento di cani e corse clandestine di cavalli sono molto presenti in Italia, e il 40% dei reati è avvenuto nelle quattro regioni a prevalenza mafiosa, con l’eccezione delle province di Genova, Brescia, Venezia, Rimini e Trento per il nord Italia.
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Stando a quanto si apprende dal dossier di Legambiente, si tratta di un settore che è ancora molto difficile contrastare. Anzitutto per la debolezza a livello costituzionale e normativo dello status giuridico degli animali, ma anche per l’isolamento della figura del veterinario pubblico.
La “Rifiuti SpA”
Se ne parla molto, ma le cose cambiano poco, e non è affatto un problema prevalentemente del Meridione. Continua a crescere l’illegalità nello smaltimento dei rifiuti speciali, sia per numero di infrazioni (7.984, contro le 7.312 del 2017), che per persone denunciate, (9.828) e sequestri (3.091). La metà dei reati sono stati registrata nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa: al primo posto numero troviamo la Campania (1.589 reati), seguita dalla Puglia (947), dalla Calabria (657) e dalla Sicilia (563).
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Ma nella prima metà della classifica troviamo diverse regioni del centro e del nord. La Toscana è la prima regione del Centro con 634 infrazioni, e quarta a livello nazionale, mentre è la Lombardia la regione con il numero più alto di arresti nel 2018 (23) e settima per numero di reati. Il Piemonte si colloca invece all’ottavo posto.
Il business degli incendi
Si stima che gli incendi e i roghi producano un costo ambientale di 5.260 miliardi di euro, a cui si aggiungono 4.191 miliardi di costi per domarli, colposi o dolosi che siano. Il motivo per cui si dà origine a un incendio doloso è il più delle volte legato a interessi speculativi in edilizia e all’occupazione: il numero di incendi crea o conferma assunzioni di operai forestali precari. In molte occasioni – racconta Legambiente – si è stabilito che ad appiccare l’incendio erano stati proprio coloro che erano pagati per spegnerlo.
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La buona notizia è che il 2018 ha segnato una riduzione nel numero degli incendi boschivi, anche se nelle quattro regioni a prevalenza mafiosa il fenomeno rimane un problema serio: si è registrato solo lì il 51% degli incendi. Maglia nera alla Sicilia con 341 roghi, che hanno interessato 10.250 ettari di terreno. La maggior parte delle province interessate si trovano a sud: dominano Cosenza con 180 roghi, Palermo con 116, Matera con 85, Salerno con 77, Foggia con 71.
L’archeomafia
Scavi clandestini e razzie nei siti archeologici, furti, traffico illegale di opere d’arte: questo business è assai redditizio in Italia, per un valore complessivo pari a 119.734 miliardi di euro di beni recuperati e 454.468 miliardi derivanti da falsi. L’archeomafia permette di riciclare denaro, e scambiare i beni per partite di droga e armi, oltre a rappresentare un mezzo di ricatto nei confronti dello Stato. Numericamente la maggior parte degli oggetti rubati sono di origine archeologica (oltre 42 mila oggetti), e la ragione è presto detta: si tratta di beni sconosciuti fino al loro ritrovamento, quindi mai catalogati.
Seguono le monete, i beni librari antichi, le opere d’arte falsificate, le sculture intere e il vasellame. Di meno gli oggetti preziosi di oreficeria, le armi artistiche e gli oggetti sacri. Quattro sono invece gli strumenti musicali di valore rubati e sequestrati nel 2018.