Per rispondere a questa domanda, il fotografo francese Antoine Repessé ha trasformato la sua casa in una discarica. Lo abbiamo intervistato
Di anni ce ne sono voluti ben quattro, ma il risultato è sorprendente: Antoine Repessé, fotografo francese di Lille, ha raccolto tutto il materiale destinato all’immondizia prodotto in quel periodo e lo ha stoccato in casa giorno dopo giorno, con pazienza certosina. Il risultato è #365 unpacked (guarda il sito), progetto che tenta di rispondere all’interrogativo “quanta spazzatura produciamo in un anno?”. Il lavoro di Repessè è datato 2016 ma è tornato virale in questi giorni per una di quelle magie che a volte i social media ci regalano.
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L’Italia il Paese più interessato
“E’ vero, sta girando parecchio su Facebook – racconta il fotografo 38enne a StartupItalia – e molte delle visualizzazioni vengono proprio dal vostro Paese. Giusto oggi ho ricevuto la richiesta di presentare il progetto a una mostra a Palermo”.
“La mia casa trasformata in una discarica”
L’idea era quella di aiutare le persone a visualizzare l’enorme quantità di rifiuti che produciamo. “Comincia tutto nel 2011, dal fatto che non sono un grande chef – continua l’artista – Per dieci anni mi sono nutrito di surgelati e una sera ho dimenticato di buttare la spazzatura. Quello è stato l’inizio della riflessione che mi ha condotto a trasformare la mia casa, letteralmente, in una discarica”.
“Ho iniziato a domandarmi perché dovevo pagare tutto quel denaro per il packaging, e pagare poi di nuovo per lo smaltimento. Non ci rendiamo conto che a volte il prezzo della lavorazione di un prodotto è molto maggiore del costo della materia prima in sé. Un esempio? Le capsule per le macchinette espresso: costano anche 45 volte il costo del caffè”.
70 metri cubi di spazzatura in un appartamento
Chiedendo aiuto a 200 tra amici e parenti, e lavorando fino al 2015, Repessé ha stipato ben 70 metri cubi di immondizia nell’appartamento. “Per fortuna vivo in una casa grande” scherza. Ogni materiale è stato rigorosamente raccolto e separato in vista del risultato finale, che starebbe bene su una rivista patinata data la cura maniacale per i dettagli.
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Alla fine, Repessè si è trovato con 4.800 rotoli di carta igienica in camera e 5mila pacchetti di sigarette in garage. E poi plastica, plastica, plastica. Non solo. In salotto c’erano 800 kg di pubblicità, di quella indesiderata che si accumula nella cassetta della posta. “Inconcepibile. E’ stato calcolato che basta appiccicare lo sticker ‘no, grazie‘ per risparmiare 12 kg all’anno di carta”.
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Ma ne è valsa la pena: il risultato è scioccante. Ottenere questo impatto ha richiesto – però – duro lavoro e disciplina: “Ho usato tecniche normalmente proprie del linguaggio pubblicitario per veicolare un messaggio forte contro il consumo e lo spreco. Alcune delle 27 immagini hanno richiesto anche dieci ore di lavoro: dovevo caricare il furgoncino con il materiale, allestire il luogo dello shooting, regolare le luci, trovare l’angolazione giusta. Ma era tutto necessario a sferrare il pugno nello stomaco che volevo. Volevo dare l’idea di cosa significa consumare tutto quel packaging: spesso quello che vediamo sono statistiche, e anche quando i giornalisti ci aiutano a visualizzarlo con paragoni, ad esempio usando la torre Eiffel o campi di calcio, questo non rende l’idea. Le foto si“.
“Il vero cambiamento parte da noi”
Ogni immagine cerca di proporre una relazione con una tematica diversa ma connessa al progetto: ad esempio, la foto coi pacchetti di sigarette è stata scattata in un’auto, per mettere in relazione il fumo del tabacco con quello prodotto dalle vetture. I modelli impiegati non sono professionisti, ma amici e parenti che si sono prestati al gioco.
E alla fine, per paradosso, smaltire tutta quella spazzatura si è rivelato un problema. “Ne ho passata una parte a un artista che lavora col tetrapack, e il resto l’ho suddiviso tra associazioni che fanno sensibilizzazione e aziende che riciclano” ricorda il fotografo.
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Il progetto ha avuto impatto anche su di te? domandiamo. “Si, certamente – risponde – E anche se mangio ancora surgelati ogni tanto, alla fine di questo lavoro ho imparato a diventare più consapevole ogni volta che faccio acquisti, ad esempio comprando arance fresche invece del succo confezionato. Anche fare la spesa nei mercati rionali è una buona idea. Perché il vero cambiamento parte da noi, e dai gesti, per quanto piccoli, che compiamo tutti giorni”.