Niccolò Cipriani e Clarissa Cecchi hanno ricostruito la trama della grande storia tessile della città toscana attraverso un progetto che ricicla le fibre di jeans, cachemire e lana
In Storia della mia gente Edoardo Nesi raccontava l’evoluzione di Prato, un tempo centro pulsante del settore tessile italiano, ora semplice colonia di cinesi. Che però fanno la stessa cosa di sempre, tessere.
Niccolò Cipriani e Clarissa Cecchi, che in quella città ci sono nati e cresciuti, hanno preso il tessuto sfilacciato di quella narrazione sociale e hanno provato a rigenerarlo, idealmente e materialmente. Nasce così Rifò (qui il sito), azienda che punta a rigenerare tessuti usati creando nuovi indumenti di altissima qualità.
“La soluzione? A casa mia”
“Prima lavoravo in Vietnam, in un programma Onu,” spiega Niccolò. Lì per la prima volta scopre che la sovrapproduzione di abbigliamento è un serio problema per il pianeta.
“La tradizione tessile di Prato si basava sulla rigenerazione dei tessuti: quindi la soluzione era a casa mia“. Infatti, il distretto tessile toscano nasceva così. Arrivavano cenci da tutto il mondo. Venivano rigenerati, creando un prodotto povero: il cardato, “fatto per necessità economica, non per vocazione,” spiega il founder di Rifò.
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Da qui, ripescando a piene mani dalla tradizione, nell’ottobre 2017 parte l’avventura di Rifò. L’azienda è partita con 15.000 euro, a cui si sono aggiunti 50.000 euro in accelerazione con Nana Bianca e sta per chiudere un round di finanziamento. Oggi conta tre dipendenti full time, tre part time e gli stagionali di contorno.
Come nasce il maglioncino di cachemire Rifò
Rifò è in grado di rigenerare cotone, poliestere (prodotto da un’azienda terza e poi tessuto a Prato), jeans (da cui l’azienda ricava maglioncini, gli ultimi nati) lana e cachemire, la forza dell’azienda anche in virtù del prezzo. “Un chilo di cachemire costa molto di più rispetto al rigenerato, il cui prezzo può arrivare anche a un terzo del normale”, spiega Cipriani.
Il maglioncino di Rifò non è fatto di puro cachemire, presente al 60%. Il resto lo fa la lana, sempre rigenerata. Il metodo di produzione è quello della calata, un tipo di produzione che garantisce risultati di pregio e minimo scarto.
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La maglia viene calata per intero e cucita senza alcun genere di taglio. Il processo si divide in cinque fasi. La prima, la smacchinatura: la maglia viene messa nell’apposita macchina. La seconda, la confezione: il capo viene modellato secondo il design scelto.
La terza, il lavaggio: l’acqua viene usata solo in questa fase, per esaltare la qualità e la morbidezza del capo. La quarta fase, la stiratura: vengono fissate le proprietà del filato. Infine, c’è il controllo qualità, fatto di test fisici e chimici per garantire la resistenza e la bontà del prodotto finito.
Rifò, impresa sostenibile
Oltre a un concreto risparmio economico, c’è anche una maggiore sostenibilità ambientale. La rigenerazione dei tessuti fatta da Rifò riduce del 90% l’uso dell’acqua, il 77% quello di energia, il 90% l’uso di prodotti chimici, le emissioni di Co2 vengono ridotte del 95%.
Tutto viene prodotto localmente, nel distretto tessile di Prato. “In questo modo si limita il consumo di carburante, si creano opportunità di lavoro per il territorio e si ha la certezza della qualità e dell’eticità del processo produttivo”, sottolinea Cipriani.
Attraverso la sua produzione e le sue politiche commerciali Rifò si fa portavoce di un messaggio contrario al fast fashion. “Non facciamo saldi, non incentiviamo al sovracconsumo e indirizziamo donazioni di beneficenza verso le associazioni – spiega Cipriani, che aggiunge – Cerchiamo di alimentare un consumo che rispecchi il fabbisogno, senza incentivare la spesa”.
La moda emozionale
Rifò produce esclusivamente i capi che vengono preordinati attraverso il sito, per non creare stock ma anche per non sprecare risorse. Il consumatore deve acquistare solo ciò di cui ha bisogno.
“Il concetto a cui guardiamo è quello del maglioncino della nonna, un indumento con cui creare una relazione, cosa che oggi si è persa” – spiega il fondatore di Rifò. “La nostra campagna di comunicazione incentiva la nascita di questo sentimento per una t-shirt o un maglioncino. Lo spieghiamo con delle lettere, in cui diamo anche consigli sulla manutenzione del capo, chiedendo al cliente di portargli rispetto”.
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E la moda allora? Come fa un capo a restare sempre attuale? “Creiamo capi senza tempo, utilizzabili sempre” – ribatte Cipriani. Se moda significa qualcosa di passeggero, questo si scontra con il concetto di sostenibilità. Per questo facciamo ricerca sul design in modo da creare indumenti che durino nel tempo, aggiungendo dettagli che li rendano più mondani. Ma i nostri sono capi da portare sempre”.
No saldi, siamo green
Ad oggi, la paura di lanciare la campagna “no saldi” è solo un vago ricordo nella mente di Cirpiani & Co. Questa idea di non svendere i capi è stata accolta bene dal pubblico, così come il Green Friday.
Invece di scontare i propri capi, in occasione del Black Friday Rifò dona 5 euro per ogni indumento invernale acquistato a tre fondazioni che hanno aderito all’iniziativa #2lovePrato: Legambiente Prato, Fondazione Ami e Opera Santa Rita.
Parola d’ordine: scorte zero
Il successo di Rifò è anche all’origine di una delle prove più critiche che a ogni lancio prodotto i ragazzi toscani si trovano a superare. “Quando andiamo in prevendita molto spesso succede che arrivino più ordini di quelli previsti”, spiega Cirpiani .”E a volte è difficile gestire la clientela con le tempistiche di spedizione. Per questo puntiamo a creare un sistema più strutturato”.
Tuttavia per Rifò tenere le scorte più basse possibili è una priorità. “Quando lanciamo un nuovo prodotto diamo uno sconto 20% per l’attesa, per produrre esattamente ciò che ci viene richiesto. Solo il 4% rimane in magazzino”.
Il futuro di Rifò
Rifò guarda all’estero, anche per creare un sistema circolare di raccolta, sia di cotone sia di lana. “Adesso acquistiamo le fibre dal mercato standard. L’obiettivo è arrivare ad arrivare le fibre dal consumatore“. I prezzi dei capi Rifò sono molto competitivi in Francia, Germania, Belgio e Svizzera, “anche se l’Italia si sta pian piano muovendo”.