La pesca indiscriminata, il turismo selvaggio e l’inquinamento fuori controllo hanno eroso le zone vergini. Le oasi marine sono a rischio e con lo scioglimento dei ghiacciai la situazione peggiorerà ancora
Ai bordi delle carte nautiche di un tempo, quelle piratesche con le X che indicavano l’isola del tesoro, apparivano spesso scritte come Hic sunt leones e Hic sunt dracones, a indicare che, oltre una certa zona, le acque si facevano perigliose e la navigazione più incerta del solito. Erano i mari inesplorati. Quelli popolati da bestie mitologiche come i Kraken, i leviatani e le sirene. Poi, di colpo, i moderni mezzi di comunicazione hanno ristretto il mondo, impoverendolo di magia, di mistero ma anche di pesci. E adesso gli scienziati lanciano l’allarme: solo il 13% degli oceani può ancora dirsi “vergine”. Il resto è stato colonizzato/addomesticato/sfruttato e inquinato dall’uomo.
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Come è stata portata avanti la ricerca
A dirlo uno studio pubblicato su Current Biology e condotto da un team di ricercatori coordinati dal professor Kendall Jones, della Wildlife Conservation Society. Gli scienziati hanno studiato la rotta delle navi, le immagini satellitari e spulciato i registri nautici, comparando tutti questi dati alla ricerca di porzioni di mare non ancora battute e sono arrivati all’amara conclusione che le zone in cui l’uomo ancora non si avventura sono davvero poche se non pochissime. Probabilmente anche meno di quanto risulti, dato che nel computo bisognerebbe considerare anche le imbarcazioni che pescano di frodo spegnendo la geolocalizzazione.
I cambiamenti climatici non aiutano
Ma ciò che più spaventa è che molto presto, con lo scioglimento dei ghiacciai, si apriranno in modo permanente rotte un tempo inaccessibili come il celeberrimo “passaggio a Nord Ovest” (che collega l’Oceano Atlantico all’Oceano Pacifico nell’emisfero boreale passando attraverso l’arcipelago artico canadese). In più, molti Paesi sono già pronti ad avviare trivellazioni in cerca di petrolio ai poli, aumentando l’impatto umano in ecosistemi delicati ed eliminando per sempre dal dizionario la nozione di mari vergini e inesplorati. E, scrivono gli scienziati, se lo studio tenesse conto dell’impatto dei cambiamenti climatici, allora l’estinzione di questi ultimi paradisi terrestri sarebbe già avvenuta da tempo.
Se il futuro non è roseo, il presente è tutt’altro che rassicurante, con ecosistemi costieri in larga parte già gravemente compromessi dall’inquinamento e dalla pesca. Peraltro – è bene chiarirlo – per trovare zone ancora vergini gli scienziati hanno comunque dovuto alzare l’asticella e accontentarsi di quelle in cui l’impatto umano è inferiore al 10%, proprio per evitare di considerarle già tutte estinte.
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Per trovare mari incontaminati (o presunti tali) bisogna puntare la prua – anzi, meglio di no così da lasciarli tali – verso il Cile (dove sopravvivono ancora 120.000 chilometri quadrati), la Nuova Zelanda (ben 1,1 milioni di chilometri quadrati) e l’Australia (350.000 chilometri quadrati).
La biodiversità resiste soprattutto nei mari incontaminati
Non solo: secondo la mappa disegnata dai ricercatori e riprodotta di seguito, solo il 4,9 per cento delle zone ritenute ancora incontaminate si trova all’interno delle oasi marine e ciò indica il fatto che quelle aree protette siano in realtà tali soltanto su carta ma di fatto già ampiamente condizionate dalle attività umane.
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Eppure, rilevano gli scienziati, i mari vergini sono fondamentali per l’ecosistema oceanico, riuscendo a mantenere ancora una biodiversità (ovvero ricchezza di specie) più alta del 31% rispetto a quelli abitualmente attraversati dalle navi, con il 41% in più di specie rare.
L’appello degli studiosi
Anche per questo non deve cadere nel vuoto l’appello rivolto al mondo intero da parte del team capitanato dal professor Kendall Jones che ha chiesto a tutti i governi delle nazioni costiere di intervenire quanto prima con leggi internazionali più severe contro la pesca indiscriminata, l’inquinamento da plastiche e da idrocarburi e con le attività di estrazione del petrolio. Il rischio, altrimenti, è che nelle future carte navali le zone marine da evitare non saranno più contrassegnate da dragoni spaventosi ma dalla scritta “hic sunt homines”.