Chi lo segue da un po’ si sarà chiesto almeno una volta che faccia abbia realmente il boomer milanese. Beh, per ora è un segreto tra il tiktoker e l’autore di questa intervista. Ci ha detto che preferisce mantenere un basso profilo e divertirsi con il suo personaggio anni Ottanta, una maschera teatrale che chiunque riconoscerebbe. «Il personaggio del boomer è teso a caricaturizzare il narciso e il megalomane milanese medio, in quella sua sorda ostentazione del benessere. In un certo senso l’ho sempre fatto con mio padre, quando lo prendevo in giro ogni volta».
Chi è il boomer milanese
Un po’ come il Milanese imbruttito, ma decisamente più gaudente e patinato, il boomer milanese è un profilo che sui social è partito nel pieno dell’estate 2024. Parla come il classico spaccone da bar, sempre con eleganza e zero senso del limite. Se non fosse stato per quell’infortunio da ragazzino avrebbe senz’altro messo in ombra Baresi (pure Gianni Brera era rimasto a bocca aperta, così dice); e come dimenticarsi di quella volta in cui un tale Rocco ne ammirò le doti, quasi impaurito. Insieme a lui ci sono gli immancabili compagni di avventure: il Giangi e il Buslaghi. Ma chi si nasconde dietro a questo nuovo content creator?
Lui si chiama Gabriele, è nato a Milano nel 1985. Fino a quest’estate ci ha raccontato che ha sempre usufruito dei social come moltissimi altri utenti. Da spettatore. Poi è partito con i primi video, raccogliendo in breve tempo decine di migliaia di iscritti. «Ho studiato economia, mi ha sempre appassionato quella comportamentale e la neuroeconomia. Amo la sociologia, ma anche la storia dell’arte. E infatti dipingo e ho un trascorso nel mondo dei graffiti».
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Sui social è tempo di nostalgia
Un curriculum decisamente diverso da quello di un boomer milanese che vive di nostalgia per combattere le incertezze di questo caotico nuovo millennio. «Dal punto di vista antropologico il boomer milanese è un personaggio della commedia all’italiana. Uno che ripiega sull’edonismo sfrenato, su un benessere ostentato». La Milano anni Ottanta, quella dei paninari e degli yuppie, del Rolling Stone e di altri iconici locali.
Una Milano tanto criticata, perché a quegli anni è seguito il brusco risveglio di Mani Pulite, il crollo della Prima Repubblica. Eppure su quel passato Gabriele ha qualcosa da dire in qualità di milanese doc. «Porto di quegli anni il ricordo dell’infanzia. Ora posso dire che, sì, negli anni Ottanta c’erano edonismo e superficialità, così come un evidente menefreghismo sul domani. La “Milano da bere” era però una città inclusiva. Anche la media borghesia era chiamata a parteciparvi. Oggi è esclusiva».
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Milano, è finita la magia?
Non serve infatti aver letto trattati di sociologia per sapere che oggi il capoluogo lombardo ha bruscamente interrotto quella luna di miele con molti dei suoi cittadini. I problemi – caro affitti e caro vita, a fronte di stipendi invariati – non sono recenti, ma la magia in parte si è spenta. Ciò ha prodotto un filone social con pagine e utenti che denunciano la situazione. Da parte sua Gabriele resta alla larga dalla polemica e preferisce far ridere.
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Come content creator agli esordi è già riuscito a conquistare l’attenzione di grandi nomi, come Gerry Scotti. «Un giorno vedo il telefono con un tag di Gerry Scotti, che ha utilizzato il mio stesso filtro. Il giorno dopo gli ho risposto con un video». Con la sua community ha un rapporto di continuo scambio, non fosse altro perché in tanti gli porgono assist per nuove situazioni.
“Raccontaci di quella volta in cui” è una serie potenzialmente infinita. «Interpreto un personaggio incastrato negli anni Ottanta, un’era di promesse. L’aspetto che tende a creare empatia è un misto tra l’ottimismo e la spensieratezza. La cosa che mi motiva di più è quando qualcuno mi contatta dicendomi che gli ho trasmesso allegria. Mi manda in estasi».