«Se vi sbarazzate di TikTok, Facebook e Zuckerschmuck raddoppieranno il loro business». Difficile immaginarsi un scenario di questo tipo, ma la campagna elettorale USA riserva sempre sorprese: Donald Trump, l’ex presidente americano che nel 2020 si era battuto per mettere al bando il social della Big Tech cinese ByteDance, a meno che la multinazionale non volesse cederne le attività americane a una società USA (all’epoca circolavano i nomi di Oracle e di Microsoft), ebbene è lo stesso che oggi difende TikTok, di nuovo al centro del dibattito Oltreoceano.
Perché negli USA si discute ancora di TikTok?
Il Congresso USA si è infatti sbilanciato con un accordo bipartisan per chiedere a ByteDance di rinunciare del tutto alla proprietà sulla piattaforma, a meno di non voler affrontare la messa al bando negli Stati Uniti.
Dopo la sconfitta alle elezioni nel 2020 e i disordini di Capitol Hill, Donald Trump ha affrontato una cacciata generale dalle piattaforme (Twitter in testa) e ha presto dato vita a Truth Social, la piattaforma su cui continua a postare (ha usato appena una volta X dopo che Musk ha deciso di riabilitarlo). Da allora Trump è in lotta contro le Big Tech che lo hanno silenziato.
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«Non voglio che Facebook, che ha imbrogliato alle ultime elezioni, faccia meglio. Sono loro i veri nemici del popolo», ha aggiunto Trump sul proprio social. Mancano ancora molti mesi alle elezioni di novembre, ma è quasi certo che la sfida sarà di nuovo tra Biden e Trump.
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La questione TikTok si collega ovviamente alla guerra commerciale in corso da anni con Pechino: Biden con i miliardi di incentivi dell’IRA ha rilocalizzato negli Stati Uniti la produzione in settori chiave, come quello dell’automotive e delle rinnovabili. Negli scorsi anni diversi enti – pubblici e privati – hanno proibito ai propri dipendenti l’utilizzo di TikTok. Il timore è che, essendo un social cinese, i dati dei cittadini americani possano finire nelle mani di Pechino.