Per garantire la fruizione delle opere moderne ai futuri visitatori dei musei è nato il progetto NanoReStart, che con le nanotecnologie vuole mantenere intatta o recuperare l’arte contemporanea. Finanziato dall’Unione Europea con 11 milioni di euro verrà testato da 27 musei (compresi alcuni italiani).
Se digitiamo su Google ‘arte contemporanea’ i nostri occhi vengono colpiti da una moltitudine di colori e oggetti. Seppure provassimo a trovare il fil rouge che li collega tutti, non ne verremmo a capo. Forse perché quello che veramente contraddistingue l’arte contemporanea è l’impossibilità di definirla. Se la cura per la prospettiva e la figura umana etichettano il Rinascimento, se l’horror vacui e la sinuosità delle linee fanno subito Barocco, se l’armonia nelle forme è la base del Classicismo e luce e colore lo sono dell’Impressionismo, per l’arte contemporanea non c’è elemento, tecnica o soggetto che ne sia manifesto.
In un secolo privo di certezze assolute, dove il post di un qualsiasi influencer viene percepito dalla massa come verità; in un secolo saturo di modelli spesso contraddittori, un’arte indefinibile e priva di rigore è certamente contestualizzabile. E del tutto contestualizzabile è anche la scelta, spesso non consueta, dei materiali. Se già, anni fa, corde e cartone fecero incursione sulle tele di Picasso e i materiali casuali degli object trouvé surrealisti o del ready-made dadaista si proposero nei musei, oggi plastica, vernici che reagiscono alle condizioni ambientali, tessuti organici, fibre sintetiche e molti altri sono diventati una forma di espressione.
La lettura dell’opera la si dà anche attraverso ciò di cui e fatta, cogliendo differenze e affinità tra la funzione primaria del materiale e il nuovo impiego.
Il progetto NanoReStart
Ma se per il restauro e la conservazione di un Caravaggio esistono manuali e tecniche ben consolidate, non si può dire lo stesso per un’opera di Rachel Whiteread, realizzata con materiali polimerici. Proprio per garantire le opere contemporanee ai futuri visitatori dei musei è nato il progetto NanoReStart, che con le nanotecnologie vuole mantenere intatta o recuperare l’arte contemporanea.
«Molte opere contemporanee non saranno accessibili ai visitatori tra un centinaio di anni, a causa della rapida degradazione. Gli artisti hanno utilizzato e sperimentato materiali così radicalmente diversi da quelli utilizzati per l’arte classica, che non possono essere conservati con le metodologie attualmente disponibili», spiegano i membri del progetto.
Il finanziamento dell’Unione Europea
Interamente finanziato dall’UE, NanoReStart contribuirà anche alla pulizia delle opere. Quasi 11 milioni di euro sono stati stanziati per far partire il progetto. Utilizzando una serie di campioni di prova e opere messe a disposizione da prestigiosi musei, verranno valutate nuove tecniche. Lo scopo è la sintesi di prodotti innovativi capaci di penetrare i polimeri che costituiscono l’opera, che siano in grado di effettuarne una pulizia dall’interno e di stabilizzarne il materiale. Inoltre, verrà posta attenzione anche sui sottoprodotti gassosi, provenienti dalla degradazione delle istallazioni.
È possibile, infatti, che i prodotti delle reazioni chimiche a cui è soggetta l’opera danneggino altri lavori esposti nelle sue vicinanze.
Il progetto verrà portato avanti fino al 2018. Ben 27 musei, aziende chimiche e Università da tutta Europa hanno aderito e contribuiranno sinergicamente, mettendo a disposizioni competenze diverse. Tra vari, saranno effettuati anche test sull’impatto ambientale dei nuovi nanomateriali prodotti.
Il progetto è senza dubbio un’ottima risposta all’esigenza di preservare le opere. E i risultati raggiunti dalla ricerca saranno sempre applicabili. O quasi. In fondo abbiamo a che fare con l’arte contemporanea, con l’arte del materiale al servizio del concetto: chi ci dice che non sia proprio la ‘degradazione’ ciò di cui vuole parlarci l’opera?
Andrea La Frazia