Una delle storie più perigliose del mondo dei videogiochi: le promesse roboanti, il lancio di un titolo incompleto, il record di recensioni negative su Steam, decine di aggiornamenti gratuiti per rendere il gioco quello che sarebbe dovuto essere da subito… E oggi le versioni per Switch e PlayStation 5
Benché sommerso da critiche, inseguito da utenti inferociti che chiedevano rimborsi e che hanno costretto Sean Murray, il leader della giovane software house dietro al gioco, a cancellarsi dai social per qualche tempo, No Man’s Sky è l’emblema perfetto di una storia da startupper.
È un progetto ambizioso – forse troppo – portato avanti da un manipolo di persone (15, nel caso di Hello Games) – sicuramente troppo poche -, che esce dopo un battage pubblicitario serratissimo e… non mantiene nessuna – o quasi – di tutte le promesse fatte in oltre un anno di interviste, comparsate, annunci roboanti. E giù le critiche: giuste, comprensibili, doverose. Ma la startup non demorde: promette di continuare a lavorare al titolo per migliorarlo, rilascia decine e decine di aggiornamenti gratuiti che a poco a poco cesellano il gioco, rendendolo via via sempre più simile a quello che sarebbe dovuto essere fin dall’esordio. Già, ma cosa sarebbe dovuto essere?
No Man’s Sky, l’algoritmo non è più alieno
In occasione del lancio delle versioni per Nintendo Switch e PlayStation 5, ripercorriamo in questa recensione una delle storie più perigliose del mondo videoludico. Di No Man’s Sky si parla dall’E3 2014, quando l’allora sconosciuta software house indipendente Hello Games lanciò un video che ritraeva l’esplorazione in soggettiva un mondo primordiale. Fin lì nulla di strano ma, all’improvviso, il nostro alter ego saltava a bordo della sua nave spaziale e schizzava tra le stelle.
Senza soluzione di continuità, ovvero senza la barriera di schermate di caricamento, era possibile lasciarsi alle spalle il pianeta di partenza per esplorare se non un universo intero, almeno una galassia, con decine di migliaia di pianetini pronti a ospitare le nostre scorribande. Un progetto maestoso, virtualmente senza confini… realizzato da sole quindici persone? Qui fece la differenza la bravura in fatto di marketing del capo della startup, Sean Murray (veterano dell’industria videoludica, provenendo da Criterion), perché a ogni comparsata lo sviluppatore iniziò a promettere che tutte le cose più mirabolanti non sarebbero state disposte, manualmente, da un membro del suo team, ma generate casualmente (oggi si dice proceduralmente) da un algoritmo in grado di lavorare con la stessa attenzione di un umano. Solo che lo avrebbe fatto più velocemente e in modo instancabile. Murray fu così convincente che pure le testate più blasonate del settore misero da parte i dubbi, più che legittimi, per credergli, dando al gioco tantissimo spazio.
— Sean Murray (@NoMansSky) September 6, 2021
L’algoritmo avrebbe insomma creato, incessantemente, migliaia di pianeti alieni con migliaia di condizioni differenti (temperatura, presenza di ossigeno, durata del dì e della notte, risorse, ecc…) e, soprattutto, migliaia di esseri viventi differenti. In più occasioni Murray ribadì che le componenti shakerabili dall’algoritmo fossero tante e tali che sarebbe stato impossibile, per due utenti, approdare sullo stesso pianeta. L’algoritmo magico, insomma, avrebbe permesso a un team piccolissimo di realizzare qualcosa che nemmeno le software house più strutturate e capitalizzate erano mai riuscite a fare.
Prendiamo infatti The Legend of Zelda – Breath of the Wild, o un Assassin’s Creed o un The Elder Scrolls a caso. Sono titoli free roaming che contemplano mappe enormi, disegnate passo passo da sviluppatori in carne e ossa che decidono la posizione di ogni singolo albero, ponte, palo, anche per finalità ludiche: pensate infatti agli alveari di Zelda, strategicamente posti proprio nelle vicinanze degli accampamenti nemici per suggerirvi tattiche d’attacco variegate, o agli oggetti di Assassin’s Creed che, pure mischiandosi nel circondario, disegnano delle mappe verticali lungo le quali l’eroe di turno può agevolmente arrampicarsi. Un algoritmo potrebbe fare altrettanto?
Non a caso dietro i titoli open world ci sono centinaia di persone e molto spesso viene comunque mosso loro il rimprovero di non aver saputo realizzare un mondo davvero vivo, convincente, carico di sfide. Lasciar creare i livelli all’algoritmo non è qualcosa di realmente innovativo: Diablo realizza così, dagli anni ’90, i suoi dungeon casuali, ma No Man’s Sky si riprometteva di prendere questo concetto ed elevarlo alla massima potenza. Effettivamente, nell’ultimo periodo gli sviluppatori hanno iniziato ad affidarsi agli algoritmi per lo sviluppo delle mappe: Techland per esempio ha realizzato così molte delle vie per il parkour dell’ultimo Dying Light, ma si tratta appunto di studi maggiori e nel mentre sono passati parecchi anni. E comunque si tratta di innesti artificiali in un mondo creato dagli sviluppatori.
Più che un debutto, uno schianto
Il problema originale di No Man’s Sky fu che, all’atto pratico, l’algoritmo di Hello Games non era poi così geniale e si limitava a mesciare in modo incontrollato e indiscriminato un po’ tutto, creando aborti di creature aliene più ridicole che affascinanti, esseri patetici creati cucendo tra loro più modelli poligonali difformi, oltretutto animati da una IA traballante. A tutto questo si aggiungeva a un mondo di gioco vuoto e noioso che costringeva il giocatore a peregrinazioni fini a loro stesse (il tutorial era piuttosto oscuro) e un gameplay che non contemplava obiettivi ludici, dal sistema di combattimento (che rimane probabilmente uno degli aspetti più grezzi, perfino oggi) di fatto inesistente.
Fioccarono le critiche e le richieste di rimborsi che in breve tempo fecero di No Man’s Sky il titolo su Steam col maggior numero di recensioni negative. Murray, come anticipavamo poc’anzi, dovette perfino abbandonare i social. Il titolo, dopo tante promesse, aveva creato aspettative altissime, ma il gioco debuttò incompleto e incapace di mantenerle una buona parte. L’atterraggio sul pianeta alieno, per Hello Games, fu soprattutto uno schianto e, esattamente come il protagonista della loro avventura, gli startupper dovevano ora rimboccarsi le maniche, se volevano sopravvivere…
No Man’s Sky, un gioco in continua evoluzione per un universo in continua espansione
Per fortuna, però, nel mentre, sono passati anche quattro corposi aggiornamenti e gli utenti di Nintendo Switch e PlayStation 5 che intendono scaricare il gioco sulla propria console (o comprare il pacchettizzato appena apparso sugli scaffali dei negozi) possono ora godere di un No Man’s Sky finalmente maturo e in grado di mantenere circa il 90% delle promesse fatte e non mantenute al lancio, avvenuto nell’agosto del 2016. In questi sei anni Murray e i suoi hanno voluto portare a compimento il loro progetto, compiendo progressi che difficilmente avremmo immaginato. È stata così aggiunta una componente narrativa che desse un senso al tutto (perché ok l’esplorazione, ma dopo un po’ ci si annoia di peregrinare a caso), è stato approfondito il sistema di raccolta delle materie prime ed è stato perfino introdotto il multiplayer.
Con l’Update 4.0 di No Man’s Sky abbiamo un tutorial completamente rivisto che probabilmente lascerà indifferente la community che s’è coagulata attorno al gioco, ma che ha un senso, visto che il debutto delle versioni Switch e PlayStation 5 farà entrare nel club tantissimi gamer in più.
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È stato creato un portale interattivo che raccoglie tutte le informazioni sulla nostra avventura, dal riassunto della storia ai chiarimenti sugli oggetti, sulle funzionalità di gameplay e sugli aspetti più importanti dell’esperienza da vivere esplorando la galassia procedurale, ma soprattutto è stata aggiunta la mode Relaxed con elementi survival ridotti al minimo mentre, per i veterani delle esplorazione spaziale Babbo Murray Natale porta in dono un inventario esteso con slot da sbloccare accedendo a nuove missioni e attività, così come una modalità Sopravvivenza più sfidante oltre alla possibilità di cambiare parametri come la difficoltà, gli elementi survival e il crafting, bilanciandoli in base alle proprie esigenze.
Insomma, tutto perfetto? Ovviamente no. Soprattutto su Switch, il gioco dal punto di vista tecnico zoppica ancora, i rallentamenti sono piuttosto lunghi e gli interventi degli sviluppatori per adattare il gioco all’hardware nipponico, meno potente rispetto agli altri, piuttosto brutali. Ma nel complesso, ora abbiamo davanti il gioco che ci era stato promesso sei anni fa. O quasi. E sentiamo di essere arrivati a un punto di svolta perché, seppur tra mille imprevisti ed errori, i ragazzi di Hello Games hanno dimostrato che una startup può realizzare titoli degni di una tripla A. Da qui si deve subito partire per fare di meglio, perché la corsa al videogioco perfetto è come quella all’esplorazione spaziale: non avrà mai fine e non contempla riposo.