Avere successo in Italia con la propria startup è un percorso ad ostacoli, e lo sa bene Marco il protagonista di Odio di Daniele Rielli. Un romanzo che è anche una riflessione sul mondo delle startup, sul suo linguaggio e i suoi personaggi. I lettori di StartupItalia possono scaricare un estratto del libro qui sotto
Marco, laureato in filosofia e founder di una startup che utilizza l’intelligenza artificiale per predire i comportamenti delle persone, è il protagonista di Odio, il nuovo romanzo di Daniele Rielli (qui per acquistarlo). La storia riprende tutti i passaggi dell’ascesa del founder al successo a partire dall’idea iniziale, passando alla visione di lungo periodo, ai primi investimenti grazie ai soldi lasciati in eredità, alla strada verso il primo round poi al secondo. E ancora le difficoltà nel rapporto con investitori che vorrebbero chiudere le sedi in Italia, la fortuna di trovare il sostegno di un mentor che crede nella potenzialità del progetto.
E poi c’è l’Odio, che permea il mondo digitale e dei social network: “C’è un grande bisogno di capri espiatori nell’aria e in questa tensione un ruolo enorme è giocato dai media digitali, sia dal punto di vista dell’accumulazione che poi del modo in cui questa tensione si scarica sulle persone”. Fa da sfondo alla storia di Marco il panorama dell’ecosistema startup italiano che cerca la sua strada guardando a quella della Silicon Valley “Abbiamo un enorme problema di comunicazione, sul prodotto siamo abbastanza bravi. I problemi maggiori sono la dimensione degli investimenti e la comunicazione”? dice Mastro, uno dei personaggi principali del romanzo, una riflessione che più volte abbiamo trovato nel dibattitto attuale. Il romanzo vi terrà compagnia quest’estate unendo la tensione del giallo alla riflessione sul linguaggio della rete e la fine delle ideologie. Abbiamo intervistato l’autore.
L’intervista:
Odio, perché questo titolo e quale il collegamento che vede tra l’odio e i media digitali?
Da tempo mi interrogo sul crescere dell’odio simbolico e verbale nel nostro tempo, soprattutto mi colpisce la facilità brutale e un po’ compiaciuta con cui vengono distrutte le vite civili di molte persone al primo accenno di controversia, spesso senza preoccuparsi neppure di attendere l’esito di un processo. C’è un grande bisogno di capri espiatori nell’aria e in questa tensione un ruolo enorme è giocato dai media digitali, sia dal punto di vista dell’accumulazione che poi del modo in cui questa tensione si scarica sulle persone . Assieme al risentimento e all’invidia, l’odio è uno dei sentimenti definenti la nostra epoca, ci sono ragioni precise per cui questo accade e le esploro nel romanzo.
Marco è un founder di una startup di successo ma è anche un intellettuale, un blogger, un filosofo abituato ad avere a che fare con il mondo accademico. E’ laureato in filosofia e non un ingegnere o un matematico. Dal suo punto di vista quanto conta la visione nella creazione di una startup tecnologica e quanto la competenza tecnica?
Sono entrambe fondamentali, per la parte tecnica il primo esperto è Guido, il suo co-founder, anche se certo anche Marco nel tempo ha imparato parecchio cose ma nel libro questo esce di meno perché per ragioni narrative seguo le sue vicende personali e un po’ meno lo sviluppo tecnico. Per questo nel romanzo la visione sembra preponderante sulla tecnica, ma è un effetto ottico dovuto al punto di vista.
Odio è anche un romanzo di formazione che vede la crescita del protagonista (anche dal punto di vista delle risorse economiche), davvero un uomo pieno di talento. Si è ispirato a qualcuno per creare il personaggio? Le assomiglia in qualcosa?
Ho avuto delle esperienze imprenditoriali, anche se non sulla scala di quelle del protagonista, nel digitale ma sempre in maniera legata all’editoria. Nulla di veramente intensivo dal punto di vista tecnico. Come il protagonista ho alle spalle una formazione umanistica ma sono molto curioso, nei confronti nella tecnologia ma non solo. Le somiglianze però finiscono qui, la letteratura è un processo artistico di rielaborazione della realtà, il paragone più vicino è quello del sogno, dove il nostro subconscio lavora con il materiale della vita diurna per evidenziare nuovi nessi, far emergere tensioni rimosse, delineare aspirazioni. Un autore è tutti i suoi personaggi e non è nessuno e per scrivere questo romanzo ho dovuto fare moltissima ricerca, lunghe interviste, periodi di osservazione diretta delle realtà di cui parlo.
Uno dei personaggi più interessanti del romanzo è Mastro, il mentor di Marco e il suo investitore. Che ruolo ha nella trama e che cosa le piace o non le piace di lui?
Mi piace la capacità di riconoscere l’intelligenza anche in campi che teoricamente sarebbero a lui avversi. Questa capacità di sincretismo che alcune delle migliori menti del digitale possiedono ricorda un po’ quella esercitata della chiesa nei secoli passati, il che ha perfettamente senso perché la tecnologia è la nuova religione. Al protagonista credo invece piaccia soprattutto la capacità del Mastro di agire in mondo altrimenti impantanato e ripiegato su stesso, compiaciuto della sua immobilità. Il limite del Mastro è strettamente connesso alle sue qualità: l’unica barriera che si pone è quella del tecnicamente fattibile, se una cosa si può fare tecnicamente ed è profittevole, va fatta. Non ci sono altre valutazioni di sorta, da questo punto di vista il Mastro è un uomo del suo tempo molto più di Marco. Il patto faustiano alla base del romanzo sta proprio in questo.
Il protagonista è un mago a scrivere storie che diventano virali. Che cosa pensa del potenziale amplificativo della Rete?
Sì basa su alcuni sentimenti basici, l’odio, l’invidia e il risentimento, così come talvolta (molto meno spesso) l’eroismo o l’imitazione positiva. Quello che diventa impossibile nell’ambiente delle reti sociali – perché è condannato all’irrilevanza dai grandi numeri – sono i discorsi complessi, sfumati, che provino a cogliere la natura umana nella sua ricchezza, che tentino di salvare uno spazio per l’empatia. Nell’ambiente online l’ignorante cattivo è la misura di tutte le cose, perché l’architettura delle piattaforme riporta sempre alla sua centralità, è un modo per tenere lì il pubblico mentre gli viene somministrata pubblicità . Complessivamente è un meccanismo che sta rendendo l’umanità più stupida, settaria e polarizzata, del tutto incapace di vedere un po’ di buono anche negli altri.
Nel suo libro sono utilizzate parole tipiche del gergo delle startup: round, venture capitalist, spin-off, due diligence. Il suo lettore di riferimento è un esperto del settore o crede che siano parole ormai assorbite nel linguaggio comune?
Il romanzo non è un libro tecnico, non è un manuale su come si fonda una start up, però indaga con gli strumenti della letteratura la centralità della tecnologia nella nostra epoca per cui si trova anche di fronte all’esigenza di chiamare le cose con il loro nome, fa parte del mestiere di scrittore. Io non mi pongo mai il problema di standardizzare la lingua a un minimo comune denominatore, di scrivere cioè con una lingua televisiva, oggi come oggi quando s’incontra un termine che non si conosce si può sempre cercarlo con il telefono, un’operazione che prende una manciata di secondi in tutto. È quindi un falso problema, figlio di un’epoca precedente. L’importante è il ritmo, la comprensibilità complessiva del testo, che non deve essere punitivo ma capace di intrattenere, di appassionare. La sfida poi è essere credibili nel racconto di una determinata realtà, anche se con gli scopi ben precisi di cui parlavo qui sopra, ovvero letterari, non tecnici. Per questo serve la ricerca di cui parlavo prima.
Si ritrova in quanto dice Mastro a proposito dell’ecosistema startup italiano: “Abbiamo un enorme problema di comunicazione, sul prodotto siamo abbastanza bravi. I problemi maggiori sono la dimensione degli investimenti e la comunicazione”?
Su questo devo dire la penso come il Mastro. Il nostro sistema educativo è ancora buono, seppur ormai da anni in via di costante smantellamento: gli italiani hanno da sempre una grande inventività, però siamo diventati un paese tradizionalista, fermo e anziano, che incentiva palesemente le rendite rispetto al lavoro. Sono tutti motivi per cui l’Italia non sfrutta a pieno le sue risorse. Dal punto di vista della comunicazione spesso si è parlato molto di realtà risibili e si sono pressoché ignorate altre molto più interessanti. Certo, dato l’approccio alla materia del giornalismo generalista in Italia, per gli imprenditori del digitale rimanere ignoti al grande pubblico può anche rappresentare una scelta strategica.
Potete acquistare qui il libro (oppure in libreria). Buona lettura!