C’è un mantra in Silicon Valley che è diventato anche il suo: Make something people want. Fai qualcosa che le persone vogliono. Con questa idea, lei ha svecchiato un settore, lo ha digitalizzato, ha risposto a un bisogno concreto del pubblico femminile, ed è riuscita a creare una startup nel settore che aveva sempre sognato: il beauty.

Che cos’è Deeva
Lei è Irene Giani, 31 anni appena compiuti, e la sua startup si chiama Deeva, un servizio di bellezza professionale a domicilio, accessibile a tutti. «Da sempre le dive hanno il parrucchiere che gli arriva a casa. Noi abbiamo voluto digitalizzare e regolamentare un settore tradizionalmente informale e obsoleto in Italia. Da un lato offriamo questo servizio a tutti, eliminando nero, abusivismo, attrezzatture assurde o costi altissimi; dall’altro, diamo ai professionisti una nuova chance di carriera e un’opportunità di crescita».
Il bisogno per manager in carriera, avvocate, neomamme, persone anziane o con disabilità è proprio quello di avere un parrucchiere professionista a casa a qualsiasi ora del giorno, domenica e lunedi compresi, oppure direttamente in azienda e nel proprio studio.

Il settore del beauty tech a domicilio è esploso in Europa e negli Stati Uniti negli ultimi dieci anni. «Noi però facciamo qualcosa che i nostri competitor non fanno. Puntiamo tutto su ricerca e sviluppo, e la nostra startup è quasi un laboratorio. Studiamo i materiali, facciamo test su test, abbiamo brevettato un lavatesta portatile, sviluppato un processo di miniaturizzazione. Forniamo ai professionisti una valigia leggera con dentro tutto e li formiamo attraverso una vera e propria Academy».

Figlia di imprenditori, Irene ha sempre avuto la passione per il beauty. «Mia mamma aveva una profumeria-centro estetico in un paesino in provincia di Novara e spesso andava a domicilio dalle clienti. Mio papà è imprenditore. Volevo mettermi in gioco». Dopo il liceo, Irene sogna di frequentare una scuola per make up artist a New York, ma i suoi glielo impediscono: «Devi studiare economia e commercio». Lei li ascolta, si laurea in Bocconi, ma nel frattempo entra per uno stage in Facile.it. Ci rimane sette anni, dove crea una business unit specializzata nel campo assicurativo. «Sono stati anni pazzeschi, gli anni della crescita, in cui ci siamo trasformati da startup a unicorno».
Leggi anche: Dove cenare a Londra e cosa indossare per non sfigurare? Te lo dice una rivista fondata da una ventenne italiana
Poi passa a lavorare in un broker assicurativo: resiste cinque mesi, ma entra in crisi e si licenzia. «Ho passato un periodo buio a cercare lavoro, guardavo su LinkedIn e tutti gli annunci mi sembravano richiedere 200 requisiti che non avevo». Ma la vita, a volte, fa dei giri immensi e spesso torna lì dove avresti voluto essere fin da subito». Ma la vita fa giri immensi e poi ti riporta lì, dove avresti voluto essere fin dall’inizio. A un certo punto, Irene trova un post di Mamazen, lo startup studio attivo dal 2018, nato da un’idea di Farhad Alessandro Mohammadi, con un board composto da esperti nel settore dell’imprenditoria e con diverse exit alle spalle, che investe in founder curiosi e coraggiosi. Cercavano qualcuno da lanciare nel beauty tech. Per lei una combinazione perfetta: il settore che aveva sempre sognato. «Sono stata selezionata, ho conosciuto Yan Cataldo, socio e cofounder, e insieme abbiamo deciso il modello della nostra startup: dedicarci alla bellezza a 360 gradi».

Deeva nasce nel 2023. I primi 150 mila euro arrivano da Mamazen. A oggi hanno raccolto un milione di euro, quasi tutti da business angel. «Stiamo oggi chiudendo un nuovo round». Il servizio è attivo a Milano e Torino: oltre al parrucchiere, offre manicure e make up. Con Irene e Yan lavora un team di cinque persone, mentre i professionisti arruolati sono al momento trenta. Lo scontrino medio è di 60 euro e il business model si basa su una percentuale del servizio. «Lo scorso anno abbiamo realizzato scontrini per 260 mila euro solo su Torino. Quest’anno puntiamo a 600-700 mila euro».

Tante le difficoltà. In Italia meno del 15% delle startup innovative è guidato da donne e solo un’impresa su cinque è fondata da una donna. A parità di performance economico-finanziarie, le imprese femminili ricevono meno capitali, a causa di bias impliciti e di una minore patrimonializzazione (fonte: Global Gender Gap Report 2025).
«In azienda mi occupo di tutto. E fin dal primo giorno non ho mai svolto un’attività per cui fossi davvero preparata. Navigo ogni giorno in acque nuove e mi chiedo: ho gli elementi, le competenze, le intuizioni giuste per farcela? Lavoro costantemente su me stessa per mettere a tacere quella terribile sindrome dell’impostore. Ho imparato tantissimo: dalla gestione dei conti al dialogo con gli investitori, alla gestione del team, al marketing e alle strategie aziendali. Fare una startup significa muoversi in un territorio di formazione che non puoi paragonare a nient’altro. Vivo in un perenne stato di allerta: tutto ha sempre e solo la massima priorità. Non posso permettermi un mal di pancia e, se ho delle preoccupazioni, devo imparare a non farle trasparire. Ma se penso a quegli annunci di LinkedIn, a quelle skill che allora non pensavo di avere, oggi sento di averle tutte. Ho imparato tanto, ho imparto l’arte di cavarmela. Spesso diciamo: facciamo così. Poi ci guardiamo e ci chiediamo: come si fa? Boh, scopriamolo».

Cosa ti muove? «Mi muove l’entusiasmo, la passione e anche un sorta di restituzione emotiva. Un parrucchiere a domicilio non è solo un vezzo, tocca corde profonde. E ha anche un impatto sociale, è una nuova forma di lavoro, Ci sono professioniste che si sono licenziate, chi ha smesso di lavorare in nero, chi ha chiuso il salone che non funzionava. Ti scrivono, ti ringraziano. Hanno iniziato una nuova vita».
Leggi anche: Quando l’AI arreda casa. Il progetto di due giovani che pensano in grande. «Tra un anno? Conquisteremo San Francisco»
E la fiducia della gente? Si racconta che quando i fondatori di Airbnb hanno iniziato a cercare fondi, gli investitori dicevano loro: «Nessuno aprirà la casa a degli sconosciuti». Era il 2008, Airbnb è diventato il colosso dell’ospitalità e molte cose sono cambiate ma forse il tema resta attuale. «Stiamo lavorando tantissimo sulla fiducia. Le persone devono aprirci la porta di casa, e non è sempre facile. Facciamo più colloqui con i nostri professionisti, sul sito li puoi vedere tutti, con foto e biografia e stiamo organizzando una serie di podcast per permettere ai professionisti di farsi conoscere. Noi li conosciamo anche tecnicamente, prima di essere ingaggiati devono superare prove pratiche davanti a noi, valutiamo carattere e personalità. Spesso abbiamo scartato chi non aveva l’attitudine giusta. C’è chi ci scrive: oggi è una giornata di m… mi mandi qualcuno di simpatico?».

Il 70% di chi prova il servizio lo utilizza di nuovo e diventa cliente fedele. «Oggi siamo in una fase critica: è arrivato il momento di scalare. Dobbiamo correre. Sogno che Deeva diventi un’alternativa al salone nella mente delle persone». Irene è una delle 50 imprenditrici più innovative in Italia selezionate dal Premio GammaDonna 2025. Quest’anno il Premio, giunto alla 21ª edizione, ha raccolto candidature da tutta Italia. Tra le 50, saranno scelte le sei finaliste che il 4 novembre saliranno sul palco della finale, nello splendido Palazzo Madama di Torino, all’interno del calendario di “Torino Capitale Europea dell’Innovazione 2024-2025”. Chissà se tra le sei ci sarà anche lei…