Da Housemarque Games una bellissima avventura sospesa tra roguelike e shooter, l’horror gotico di Lovecraft e la solitudine abissale di Alien
Una povera astronauta bionda tutta sola nello spazio. No, non è Samus Aran, eroina di Metroid con più vite di un gatto. Selene è un umano dalle possibilità e le risorse limitate, esattamente come noi. E infatti muore se casca nell’acido, tra urla atroci che quasi ci fanno gettare lontano le cuffie; muore carbonizzata se per qualche motivo una tanica di carburante esplode mentre lei la sfiora soltanto; muore alle prese con le aberranti creature aliene che popolano l’oscuro mondo in cui è atterrata. Ma Selene ha una dote straordinaria, anche se non sa da che dipenda: può rivivere in loop la sua avventura, rialzandosi dopo ogni morte. Questo è Returnal.
È bello dopo il morire rivivere ancora, in Returnal
Senza la possibilità di rivivere all’infinito, la permanenza di Selene sul pianeta alieno Atropo durerebbe davvero pochi secondi. Perché Returnal è un gioco difficilissimo. Si muore realmente a ogni piè sospinto. A livello di meccaniche, aleggia tra i generi “shooter”, strizzando l’occhio soprattutto a quelli più indiavolati e finora quasi unicamente bidimensionali e i roguelike più perfidi.
Allo stesso modo, la sinossi dell’esclusiva PlayStation 5 sviluppata da Housemarque Games sotto la supervisione di Harry Krueger, Game Director di Returnal, ermetica, spoglia eppure intrigante, resta sospesa tra le atmosfere gotiche che paiono saccheggiate da H.P. Lovecraft e la fantascienza horror di Alien. In questo modo, un po’ per via delle incredibili atmosfere e delle maestose ambientazioni, un po’ per merito della letalità delle orripilanti creature aliene che non ci daranno tregua un solo istante, l’intero gioco lo si vive tesi come corde di violino. Ma non dovremo permettere mai alla paura di paralizzarci, o sarà ‘game over’…
Parassiti che si infilano sotto la tuta, iniziando a divorare la carne; mostri capaci di trafiggerci col proprio pungiglione, altri in grado di stritolarci coi tentacoli. E poi, come se non bastasse, antichi sistemi difensivi di una civiltà scomparsa che di colpo si attivano, crivellandoci di proiettili. Aberrazioni di ogni tipo sono pronte a punirci per ogni nostra indecisione, per non essere stati abbastanza rapidi e spietati, almeno quanto loro.
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Molto presto si scopre che in Returnal per sopravvivere bisogna inscenare danze mortali coi nemici: chi si ferma è perduto, occorre piroettare tra raggi laser e fare strafe tra artigliate d’ogni tipo, mentre il cielo si colora delle esplosioni dei nostri proiettili, che raramente nella concitazione andranno a segno (almeno sulle prime). In questo appassionato ballo letale occorrerà tenere a mente la routine d’attacco dei propri avversari (nel dubbio, state loro il più distanti possibile) come anche le caratteristiche delle armi imbracciate: portata, rateo di fuoco, velocità di ricarica.
Come dicevamo, il gameplay di Returnal premia gli audaci e i decisi: e infatti i nemici, quando passati per le armi in combattimenti ravvicinati ‘droppano’ molto più materiale, essenziale per accedere a stanze bonus e ampliare il nostro armamentario. Allo stesso modo, condurre battaglie in modo magistrale, senza essere feriti, consente di allungare permanentemente la barra della salute.
Si viene così costantemente spronati a fare di più e meglio, il senso di sfida è appagantissimo, pari solo a quello provato nelle rumorose sale giochi di una volta quando a ogni partita si facevano fuori intere pile di gettoni, con la differenza sostanziale è che mentre un tempo il gioco, dopo il Game Over, restava immutato, qui la costruzione procedurale impedisce di provare a cogliere Returnal di sorpresa, ma a ogni rinascita saremo comunque più forti e più determinati. Fino al nuovo decesso. E così via fino alla fine di uno dei migliori titoli attualmente disponibili per PlayStation 5.