Il filosofo digitale, ricercatore del MIT, a StartupItalia: “Dai media alla moneta, tutto oggi è software ed è programmabile. Eppure nelle università italiane ancora non lo si insegna. Dobbiamo educarci e fare innovazione culturale”
Se per oltre due millenni i filosofi sono andati alla ricerca della verità, adesso vagano interrogandosi sul numero di simulazioni offerte dalla tecnologia. Innumerevoli, forse persino infinite come gli universi paralleli teorizzati dai fisici e declinati dagli scrittori di fantascienza. Ne abbiamo parlato con Cosimo Accoto, filosofo digitale e ricercatore al MIT di Boston, autore del libro “Il mondo sintesi – Cinque brevi lezioni di filosofia della simulazione” per Egea, casa editrice dell’Università Bocconi, che sarà presente al nostro SIOS Summer Edition fiorentino (qui per registrarsi all’evento e partecipare con noi alla festa). “Non è sufficiente saper programmare. Dobbiamo studiare e capire filosoficamente che tipo di linguaggio nuovo è il codice software e come impatta”, ci ha spiegato nel nostro incontro. Con Accoto il prossimo 30 giugno, sul palco dello StartupItalia Open Summit estivo intraprenderemo un viaggio alla scoperta di volti artificiali e carni coltivate, gemelli digitali e beni crittografici, ma anche dell’importanza dei dati e dei media sintetici, passando per creature biorobotiche fino ad arrivare ai metaversi emergenti e ai simulatori quantistici, utilizzando il suo saggio come mappa per non perderci. Nell’attesa, gli abbiamo posto alcune domande per prepararci meglio a questa avventura virtuale nella simulazione.
“Non è sufficiente saper programmare. Dobbiamo studiare e capire filosoficamente che tipo di linguaggio nuovo è il codice software e come impatta”
StartupItalia: L’intero libro ruota attorno al concetto di “simulazione”, nel caso di specie computazionale. Può spiegare in termini semplici che cosa si intende?
Cosimo Accoto: Simulazione computazionale è la capacità delle macchine di simulare il mondo, di riprodurlo e anche di ricrearlo in maniera sintetica. Se l’intelligenza artificiale delle reti neurali artificiali ha cercato di simulare la mente e le sue abilità cognitive, l’intelligenza sintetica vuole ora simulare il mondo con le sue geometrie e volumetrie. Sempre più oggetti, corpi, ambienti nascono prima come riproduzioni simulate computazionalmente sullo schermo di un computer. Pensiamo in senso negativo ai deep fake, alle simulazioni di volti di persone o celebrità fatte per ingannare. Ma direi che ci sono anche simulazioni create per migliorare la nostra salute o il business. Un caso noto e sempre più in adozione è quello dei digital twin, le copie digitali di asset fisici per gestire la complessità di un macchinario. Posso simulare una turbina attraverso sensori e dati per ottimizzare le sue prestazioni o predire malfunzionamenti. Ma pensiamo anche ai digital twin dei pazienti, nostri avatar digitali, per gestire la complessità della malattia.
StartupItalia: Può aiutarci a capire cosa c’entrino, in tutto ciò, il catalogo IKEA e il Metaverso progettato da Mark Zuckerberg?
Cosimo Accoto: Più del 70% delle immagini del catalogo mobiliare più famoso del mondo sono oggi immagini simulate. Non sono fotografie realistiche. Sono il frutto della grafica computerizzata che modella e crea in 3D sedie, tavoli, armadi. È questa potenza simulativa che è all’origine anche delle virtualizzazioni di ambienti e corpi che ha in mente di lanciare Meta col suo “metaverso”. Per ricreare virtualmente la tridimensionalità del mondo, dei suoi ambienti, dei suoi spazi e dei suoi movimenti. Avremo realtà estese con caratteristiche peculiari e nuove. Ad esempio nella realtà aumentata, le informazioni sono riavvicinate al loro oggetto. Finora abbiamo fatto il contrario: pensiamo ai manuali tecnici che separano le informazioni dai loro oggetti. Con gli occhiali futuri, l’informazione per riparare l’oggetto verrà sovrapposta direttamente all’oggetto mentre lo guardiamo. O, ancora, nella realtà virtuale la nostra presenza viene dislocata in un mondo altro che ha logiche d’azione e di immersione (non più solo interazione) anche molto spaesanti.
“Se l’intelligenza artificiale delle reti neurali artificiali ha cercato di simulare la mente e le sue abilità cognitive, l’intelligenza sintetica vuole ora simulare il mondo con le sue geometrie e volumetrie”
StartupItalia: Siamo armati a sufficienza per comprendere il mondo che descrive? E la scuola fa il suo dovere preparando i nuovi adulti del domani?
Cosimo Accoto: Direi di no. Ma, in realtà, ogni rivoluzione tecnologica ci coglie impreparati e ci trova spaventati. È accaduto per il passaggio dall’oralità alla scrittura, poi dalla scrittura alla programmazione. Siamo dentro una software society e un’economia del codice. Dai media alla moneta, tutto oggi è software ed è programmabile. Eppure non studiamo ancora il software come elemento culturale centrale della nostra società. Nelle università italiane ancora non lo si insegna, all’estero la situazione è già più aperta. In Italia, oggi cominciamo appena timidamente a introdurre il coding nelle scuole, ma non basta. Non è sufficiente saper programmare. Dobbiamo studiare e capire filosoficamente che tipo di linguaggio nuovo è il codice software e come impatta. Servirebbe alle imprese strategicamente perché ogni business sarà digitale, servirebbe ai consumatori per essere consapevoli di opportunità e rischi, servirebbe ai cittadini per promuovere una cittadinanza digitale più matura e tutti i benefici della sostenibilità digitale.
StartupItalia: Leggendo il suo libro si ha spesso l’impressione che c’è un filo conduttore tra tutti i nuovi mondi simulati, ovvero che ci vedono quasi sempre vestire i panni dei consumatori: è così? Stiamo vivendo la massima espressione, virtuale e non solo, del consumismo di massa?
Cosimo Accoto: È un saggio rivolto anzitutto alle imprese impegnate nella competizione sempre più agguerrita dentro i mercati dell’innovazione. E quindi una parte rilevante è dedicata a capire come la rivoluzione tecnologica trasforma la vita di noi consumatori. E, in questo senso, si, le simulazioni faranno aumentare esponenzialmente la capacità del marketing e della produzione di personalizzare i consumi di massa. Ma, nel libro, c’è anche un altro aspetto: la dimensione della capacità creativa offerta dai nuovi metaversi e dalle reti decentralizzate ai musicisti, ai video maker, ai creatori di token non fungibili, agli artisti, agli sviluppatori e ai coder, ai giocatori e alle nuove comunità online che si formeranno intorno ai nuovi asset digitali. C’è quindi una grande opportunità non solo per i consumatori, ma anche per chi crea e produce. Ma anche qui dobbiamo stare attenti e far tesoro della storia. La vecchia sharing economy presenta luci ed ombre e posso immaginare che lo stesso accadrà per questa emergente creative economy.
“Ogni rivoluzione tecnologica ci coglie impreparati e ci trova spaventati”
StartupItalia: Tra tutte queste simulazioni, c’è il rischio di perdere la bussola. Quali sono secondo lei i punti cardinali da tenere a mente?
Cosimo Accoto: Come ogni altra era inflazionaria (o espansiva) dei media, anche questa ultima della simulazione scardina domini consolidati e bussole orientative. Dobbiamo educarci e fare innovazione culturale. Quando è arrivata la scrittura e poi la stampa, non si stampavano solo libri scientificamente solidi. Quella tecnologia consentiva a tutti di stampare e pubblicare anche testi astrusi o proprio falsi. Abbiamo dovuto inventare una nuova disciplina (Lorenzo Valla, 1440), la filologia, per distinguere un documento scritto vero da uno falso. Per le fake news, ad esempio, io che ho studiato storiografia all’università, ricordo che ogni documento andava considerato nelle sue fonti, che occorreva prendersi il tempo per verificare e che, perciò, non andrebbero rilanciate mai nè velocemente notizie o contenuti dubbi. Poi occorre anche le piattaforme che amplificano fake news siano responsabilizzate e penalizzate finanziariamente (come facciamo già ad esempio per le aziende che inquinano la natura) per il danno sociale prodotto.
StartupItalia: Le nostre società fin qui hanno avuto una struttura simile in tutto il mondo che vedeva la politica al centro della vita di uno stato. Già oggi, come lei scrive, il potere lo ha chi detiene i dati. Come interpreta la società attuale e cosa diventerà nel prossimo futuro se il trend non cambia?
Cosimo Accoto: Il codice software sta scardinando anche il concetto e la pratica della sovranità intaccando cosi l’esercizio tradizionale del potere e del governo del mondo. Per fare un caso semplice, un tempo a fare la cartografia dei territori erano gli stati-nazione, oggi per le mappe ci affidiamo alle big tech, alle grandi aziende tecnologiche private. E sappiamo bene che chi conosce i territori poi gli governa, nel loro caso attraverso dati e algoritmi. Sui dati si giocherà il nostro futuro considerato anche che l’intelligenza artificiale odierna si nutre e si potenzia attraverso i dati. Pensiamo ancora alle smart city, ai gemelli digitali di imprese e business, alla democrazia digitale e a come potrà essere potenziata e/o messa a rischio al contempo. Le strategie geopolitiche sui dati sono diversificate: USA, Europa e Cina si muovono con approcci differenti. Certamente possiamo costruire qui da noi una società democratica data-driven come si dice, ma servono nuove regole giuridiche, nuovi contratti sociali, nuove policy sulla cybersicurezza.
“La vecchia sharing economy presenta luci ed ombre e posso immaginare che lo stesso accadrà per questa emergente creative economy”
StartupItalia: C’è ancora spazio per la democrazia in un mondo “simulato” o si va verso una oligarchia nemmeno eletta dal popolo più forte di Stati e governi?
Cosimo Accoto: Solitamente non si considera la politica come una tecnologia in sé, ma se ci pensiamo la politica è tecnologia: dell’informazione, della comunicazione e della decisione. Anzi è proprio prodotta anche in virtù di tecnologie informative, comunicative e decisionali storicamente date. E se queste ultime cambiano qualche trasformazione della politica in quanto tale dovremo attendercela. Al contempo la democrazia è un’istituzione estremamente fragile e ce ne stiamo accorgendo in questi ultimi anni. E può fallire in molti modi e in modi nuovi: passando velocemente dalla cyberpace alla cyberguerra, venendo erosa dalla manipolazione politica dei deep fake, perdendo sovranità a favore di stack tecnologici planetari. Provocatoriamente MIT Technology Review scriveva: “Chi ha più bisogno della democrazia se abbiamo i dati?”. Dico però che l’innovazione democratica non potrà essere solo la digitalizzazione dell’agire politico presente, ma sarà la capacità della democrazia di unire “dato” e “dialogo”, tecnica e cultura.
StartupItalia: È teorizzabile una società in cui la sola valuta a disposizione sia il dato? In fondo già oggi scarichiamo app che erogano servizi costosi e che noi paghiamo gratuitamente, cedendo porzioni di privacy: se il dato diventasse moneta, forse non avremmo maggior consapevolezza nel momento in cui lo cediamo a terzi?
Cosimo Accoto: La nostra è una società del software ed è una società del dato. Certamente dobbiamo far crescere la consapevolezza nei cittadini e nei consumatori della sua rilevanza preziosa. Per le persone e per la società. Ma dobbiamo anche incrementarne l’impiego per migliorare servizi, applicazioni, architetture, reti. E dobbiamo anche accrescerne il valore e la sua capacità di far circolare il benessere planetario proteggendolo al contempo da attacchi malevoli e da profittatori interessati. Sicuramente non possiamo farlo da singoli. In prospettiva si stanno immaginando, ad esempio, data cooperatives e data banks, nuove istituzioni cioè a cui, come è accaduto in passato per il denaro o per il lavoro, affidiamo la gestione, in sicurezza e fiducia, del nostro capitale di dati. Sono le idee avveniristiche del professor Pentland del MIT che nel rispetto dei goal dello sviluppo sostenibile porta avanti il discorso dei dati come nuovo capitale. E in effetti, monetizzazione del dato e assettizzazione del codice sono tra i nuovi focus del WEF.
“La nostra è una società del software ed è una società del dato”