Dal fallimento dei grandi favoriti alla cavalcata della Croazia, il mondiale di Russia ci ha dimostrato come non si debba dare nulla per scontato, in campo come nel marketing
Tra detrattori ed entusiasti, la discussione sul Mondiale appena concluso sembra convergere su un punto d’accordo: l’edizione russa ci ha regalato momenti inediti ed impossibili da prevedere. Complice l’assenza dai giochi degli azzurri abbiamo tutti simpatizzato per il Giappone, rivalutato la solidità della Svezia e sperato nell’impresa della Croazia: insomma, ci siamo goduti il torneo alla leggera, senza subire il peso della parzialità.
Non è un caso che in quest’occasione alcune delle campagne marketing di maggior successo abbiano trovato nell’ironia e nella playfulness la propria arma vincente, a discapito di quelle pensate con un’impostazione più “formale”. Sembrano lontani i tempi dei cortometraggi Nike o Adidas che vedevano protagonisti i campioni del mondiale (qui gli esempi storici “Choose your player” e “Cannavaro, capitano”): durante i mondiali di Russia i principali testimonial sono stati i grandi esclusi.
Wish e la scelta dei protagonisti alternativi
L’esempio più calzante per questo trend è quello di Wish, una shopping app che è riuscita a scalzare competitors storici del calibro di Coca Cola ed Adidas. I motivi del successo del brand risiedono principalmente nella scelta di puntare su protagonisti “alternativi”, sfruttando l’esclusione dal mondiale di alcune delle nazionali più seguite come possibile subplot da esplorare. Da qui tutta la carica ironica del concept: dopo la batosta dell’eliminazione, come impiegare il tempo libero? Ecco dunque i grandi assenti, tra cui Gigi Buffon e Gareth Bale, cimentarsi in discutibili prove di giardinaggio o cucina.
Come non citare poi il caso Ibrahimovic, non convocato in nazionale ma onnipresente durante i break pubblicitari come testimonial Visa e Samsung: una presenza così ingombrante da oscurare quasi l’impresa sportiva dei suoi ex compagni. D’altronde gli stessi svedesi sono consapevoli di non poter competere commercialmente con il brand Ibra, facendo dello spirito di squadra il proprio trademark: “i consumatori si renderanno conto di ciò che Zlatan sta facendo come individuo privato, mentre noi rappresentiamo il nostro paese” – il commento di un responsabile svedese.
Il coinvolgimento di testimonial esterni alla competizione di riferimento è un perfetto esempio di quello che Love Liman definisce “ambush marketing”, una tecnica che prevede la creazione di un immaginario che si ricolleghi ad un particolare evento senza dare riferimenti effettivi. In questo modo ogni azienda può creare pubblicità “tematiche”, pur non essendo partner o sponsor delle organizzazioni coinvolte: una bella gatta da pelare per FIFA, che trae la maggior parte delle proprie entrate dai propri sponsor ufficiali.
Il marketing sembra aver dunque rovesciato le gerarchie, puntando su protagonisti nuovi e premiando gli outsiders: una similitudine notevole rispetto a quanto visto in Russia, che lascia intuire un futuro aperto alla comparsa di nuovi giocatori, sempre più attrezzati al cambiamento.