Mattia Guarracino, in arte Lonewolf92. Uno dei più forti atleti italiani di eSport racconta in prima persona la sua esperienza come professionista di FIFA
Mi chiamo Mattia Guarracino. Però in molti mi conosco come Lonewolf92. È così che mi hanno visto online, su YouTube oppure sul loro PSN.
È incredibile quante persone riesci a conoscere in rete. Mi è capitato di stremmare con gente collegata dall’altra parte del mondo. Massimo Ferrero però l’ho visto dal vivo ed è grazie a lui se sono diventato il primo giocatore eSports nella storia della Serie A. Fino a qualche tempo fa parlare di videogame competitivi era un argomento di nicchia, oggi invece è all’ordine del giorno. Quando la Sampdoria ha deciso di scommettere su di me e sul gaming ha fatto un bell’azzardo, ma poi al banco si sono presentati in tanti: prima la Roma, poi l’Empoli, il Cagliari, il Genoa e tutti gli altri a ruota. Possiamo parlare di una scommessa vinta, anche se ancora aspettiamo il jackpot finale: la e-Serie A.
Il mestiere dell’e-atleta
Fare il pro-gamer però è un mestiere più difficile di quanto non si possa pensare. Bisogna sacrificare un sacco di tempo: pensate quante ore spese a giocare 40 partite di Weekend League a settimana.
La concorrenza è spietata e la carriera può essere cortissima. Per vedere dei cambiamenti epocali nel calcio passano anni, a volte intere generazioni. Penso ad esempio ai portieri: oggi è richiesta una padronanza dell’area e del pallone che è sconsiderata rispetto a quando il retropassaggio era consentito. Alcuni dei portieri di allora, oggi non potrebbero neanche avvicinarsi alla Serie A. Oppure, chi mai potrebbe pensare di fare giocare un libero al centro della difesa. Però parliamo di procedimenti lunghi. Invece tra un FIFA e un altro cambia il mondo. Ci sono player fortissimi in un’edizione che spariscono nell’anonimato da una versione all’altra. Quindi lo stress per rimanere ai vertici è altissimo. Poi la concorrenza è letale.
Faccio un altro esempio calcistico: in Serie A ogni squadra ha 24-25 giocatori. Inamovibili, titolari, riserve, seconde e terze scelte: ognuno ha il suo spazio tra campo e panchina. Il gamer è da solo. Uno e basta: non ci sono cambi. O sei il numero della squadra o sei fuori. E come dicevo sono in molti ad ambire – giustamente – ad un ruolo di primo piano in questo mondo. Chi non vorrebbe vestire una maglia bella e importante come quella della Sampdoria, per esempio.
L’importante è partecipare? No, non basta
In questi mesi, confrontandomi con una realtà piena di grandissimi professionisti ho avuto modo di crescere. In questo caso non parlo dal punto di vista tecnico del gaming: ma proprio come persona. Giocare per un club ti porta essere più responsabile, a rispettare i valori della società e dei suoi tifosi. Quando sono sceso in campo a Marassi per Sampdoria-Roma ho detto che onorerò sempre questa maglia giocando al massimo, ed è quello che farò. Stare sotto la Sud mi ha fatto venire la pelle d’oca: era come avverare un sogno. A qualcuno hanno dato i piedi fatati. Io ho saputo accontentarmi di usare il joystick come so. E sono felice così.
Anche nei videogame non puoi sempre vincere. Questo l’ho imparato bene. La sconfitta è un aspetto della professione e come tale va considerata, ma è come si lavora sulla sconfitta a fare la differenza. Un club su questo ti fa lavorare molto. Lo sport sa insegnare un sacco di cose.
Poi ci sono mille aspetti di comunicazione che vanno curati nei minimi dettagli quando si entra a fare parte di una squadra di A. Le parole hanno un peso specifico e vanno usate nella maniera giusta: fa parte dell’essere atleti professionisti. Dobbiamo sapere che ci sono migliaia di ragazzi e ragazze che ci seguono e per loro dobbiamo rappresentare degli esempi positivi.
Cosa ci aspetta?
In futuro penso che ci avvicineremo sempre più alle figure dei calciatori – alla Sampdoria li ho conosciuti tutti e mi hanno trattato come uno dello spogliatoio: Viviano, gamer DOC, più di tutti. Presto per i pro ci saranno contratti a cinque o sei cifre, sponsor personali, account che fungeranno da ufficio stampa, interviste programmate e via dicendo. Quello che non cambierà sarà la voglia di affermarsi grazie ad un gioco che – proprio come il calcio – sa regalare grandissime emozioni.