La prima giornata di campionato come la fotografia precisa di un Paese che sembra davvero una canzone: vorrei ma non posto
Un Paese accartocciato nel suo dolore e nella sua paura, anzi in tante paure diverse, si è subito ritrovato nella prima giornata della Serie A. Mai come in questa occasione il pallone si è rivelato una fotografia precisa dell’Italia che siamo.
Genova per noi
Sabato una coincidenza incredibile: da una parte i funerali di stato per le vittime del crollo del Ponte Morandi a Genova, città con due squadre nel massimo campionato, e dall’altra l’esordio italiano di Cristiano Ronaldo. Si doveva giocare, non si doveva giocare? Dubbio risolto all’italiana: rinviate le partite delle due genovesi, e il mondo, si spera, collegato con il Bentegodi di Verona per vedere che nemmeno CR7 riesce a regalare un tutto esaurito ai suoi nuovi tifosi. E’ successo che i tifosi dell’Hellas, l’altra squadra di Verona, siano riusciti a convincere tutti che la parte dello stadio occupata abitualmente da loro non può accettare altri inquilini.
Se non ha portato più di un milione di incasso al Chievo, però, Ronaldo ha almeno regalato al suo nuovo campionato il rinnovo della sponsorizzazione da parte di TIM: aveva già abbandonato la barca, dopo tanti anni, ed è risalita velocemente non appena la Juve ha ingaggiato la star portoghese. E se non ci fosse già abbastanza Italia in questo riassunto, aggiungiamo che Trenitalia aveva già firmato come sponsor della Coppa Italia – poi la decisione del Governo di cambiare i dirigenti ha determinato una frettolosa marcia indietro, condita da dichiarazioni dei 5 Stelle in particolare sull’uso migliore che si sarebbe fatto dei soldi già impegnati: come se il binario di comunicazione e marketing fosse lo stesso dei treni locali. E in ogni caso, tutta la serie A viaggia in treno: solo Cagliari, Empoli e Frosinone non sono raggiunte dai treni veloci che servono tutte le squadre.
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Taca banda
Sabato, per Lazio-Napoli, c’era anche l’esordio di DAZN che già aveva conquistato tutti con uno spot in cui Paolo Maldini e, soprattutto, Diletta Leotta ci spiegano che si dice Da Son. Partita in diretta: non in TV, via web. In effetti una rivoluzione per l’Italia che la banda larga se la sogna, anche se evidentemente non tutti se ne sono ricordati quando all’asta per i diritti del campionato era invece grande la festa per la presenza, e i soldi, di un operatore aggiunto rispetto a Sky.
Ecco, è successo che in un campionato sponsorizzato da TIM, che della materia si occupa, la prima diretta non ha funzionato benissimo. E per fortuna che i ritardi e la mancata sintonia tra immagini e telecronaca non hanno influito sulle scommesse, che dopo questa stagione non potranno essere più comunicate live allo stadio oltre che sui media. Certo, il problema della banda resta: è la solita musica in Italia. Il campionato che pensava di essere diventato il più social grazie a Ronaldo, in una sola giornata ha registrato problemi allo stadio e davanti a ogni tipo di device.
Il VAR come Beatrice
Poi, ultima chicca: il VAR. Persino un indiscutibile successo come questo, il video in soccorso degli arbitri, in un mondo sospettoso come il calcio (che ha benedetto la novità persino ai Mondiali) diventa qualcosa di diverso nella nostra interpretazione. Da quest’anno le immagini che valuta il direttore di gara possono essere trasmesse sugli schermi degli stadi. Qui non è nemmeno un problema di banda: ci sono certi impianti in cui gli schermi non ci sono, e allora non si capisce il perché della licenza concessa e, soprattutto, comunicata con grande enfasi.
Ma succede così: si va avanti anche grazie a vecchie abitudini. Quanto siano vecchie lo dimostra, una volta di più, Ronaldo: ieri per la Juve era giorno di riposo, il classico lunedì anticipato di un giorno per la partita giocata al sabato. CR7 invece era in palestra, ad allenarsi. E a mandare immagini a tutti dalla palestra di casa sua: evidentemente, ha un buon collegamento internet. Verrà la seconda giornata e tutto sarà migliorato. E se non cambia niente pazienza: questo è il pallone a cui siamo abituati.