Con la rapida auto esclusione dei club inglesi il progetto secessionista finisce in un vicolo cieco nel giro di due giorni. L’esigenza di trovare un nuovo equilibrio finanziario resta prioritaria e l’Uefa punta a un finanziamento da 6 miliardi di euro per accontentare le società indebitate e piegate dal Covid
La Superlega calcistica non esiste più. È svanita dopo sole 48 ore passando dai comunicati a pioggia delle 12 società fondatrici che annunciavano una svolta storica con l’abbandono delle competizioni europee organizzate dall’Uefa in favore di un “sistema che salverà il calcio” (parole di Florentino Pérez, presidente del Real Madrid e ispiratore principe insieme al numero uno juventino Andrea Agnelli del nuovo che avanzava), ai comunicati a pioggia di martedì 20 aprile, con le sei squadre inglesi (Manchester United, Chelsea, Arsenal, Liverpool, Tottenham e Manchester City) che hanno annunciato la rinuncia al progetto, come in seguito hanno fatto pure Milan e Inter. Per arrivare allo stop ufficiale ribadito poche ore più tardi dallo stesso presidente bianconero.
Contano i soldi, niente altro
Al di là delle proteste dei tifosi, quelli inglesi in particolare, cui va senza dubbio riconosciuto un merito (nell’ottica di chi si è dichiarato contrario al piano), il centro focale dello strappo è di natura finanziaria, con l’ambito sportivo molto sfocato sullo sfondo. In primo luogo perché la Superlega non rappresenta(va) una novità assoluta in ambito sportivo, poiché i principi erano (e rimangono) gli stessi sui quali è nata l’Eurolega di basket, che raggruppa 18 club europei, 11 dei quali hanno una licenza decennale, 5 accedono in base al raggiungimento di una serie di obiettivi (non solo sportivi) e 2 partecipano su invito. Sul tavolo in cui mangiano e continueranno ancora a mangiare insieme le istituzioni sportive e i club più prestigiosi e seguiti in tutto il mondo c’è l’esigenza di rivedere la distribuzione delle entrate, anche perché l’emergenza sanitaria ha acuito una situazione complessiva già molto pesante.
Cattiva gestione e Covid hanno svuotato le casse
Le casse dei 12 club a caccia di soldi, e pure quelle di tante altre società dei maggiori campionati europei estranee alla Superlega, sono in profondo rosso, con l’indebitamento che sale (5,7 miliardi di debiti netti secondo un’analisi della Gazzetta dello Sport) e le perdite che si moltiplicano (750 milioni di euro complessivi nella stagione 2019-2020) anche per colpa di gestioni azzardate (nessuna proprietà dei club interessati ha mai parlato di un ridimensionamento del mercato e della riduzione dei costi, a partire dai monte ingaggi che sballano i conti stagionali e costringono a plusvalenze in serie per sistemare bilanci disastrati), incoraggiate dagli introiti garantiti dalla vendita dei diritti tv che, però, proprio in virtù degli stadi vuoti e dell’appeal in discesa di un calcio malato e disorganizzato, in Serie A ha registrato un accordo triennale per cifre inferiori rispetto a quanto assicurato da Sky e Perform. Gli 840 milioni a stagione per il 2021-2024 garantiti da Dazn è solo uno dei segnali della crisi, specie se raffrontato ai 973 milioni di euro sborsati tra il 2018 e il 2021 (anche se manca all’appello il pacchetto 2 con le tre gare per turno, da trasmettere in co-esclusiva con Dazn, per cui l’Assemblea di Lega si riunirà venerdì 23 aprile dopo aver rifiutato nella prima istanza gli 87,5 milioni di euro stagionali offerti da Sky).
Caccia al tifoso extraeuropeo
Il clamoroso flop della Superlega lascia tanti dubbi sulla struttura della competizione organizzata dai 12 club fondatori, tuttavia il nocciolo della questione resta e va risolto. La riforma della Champions League prevista al via per il 2024 con il passaggio da 32 a 36 squadre partecipanti, divise in un girone unico e con 10 partite a testa prima degli ottavi di finale non va nella direzione sperata, cioè in una selezione dei migliori club per offrire sfide più entusiasmanti per i tifosi di calcio sparsi nel mondo – perché quelli del Vecchio Continente non bastano più e l’obiettivo/obbligo dei club in questione è fidelizzare i fan sparsi tra Stati Uniti, Cina, India, Arabia Saudita, Indonesia e così via – e una certezza per le casse dei club più seguiti. Anche se per gli under 20 di oggi sarebbe più corretto parlare di giocatori e non squadre, in quanto il tifo è diventato culto personale e non più fedeltà verso una maglia.
L’Uefa cerca finanziatori
Andando nel concreto e tenendo a mente quanto riportato da El Mundo Deportivo circa l’offerta economica dell’Uefa ai sei club inglesi (anche se l’articolo è scomparso dal sito del quotidiano sportivo catalano) per tornare sotto l’egida dell’associazione con sede a Nyon, è inevitabile per ora che la rottura si ricomponga arrivando a un compromesso tra le parti. Da una parte l’Uefa e la Fifa restano al comando delle operazioni, dall’altra i club scissionisti dovrebbero venir accontentati con l’aumento delle entrate. Alzare la posta in palio è la sola strada che ha l’Uefa per calmare le acque, tanto che già prima dell’annuncio della Superlega i dirigenti svizzeri hanno avviato trattative con Centricus Asset Management, società finanziaria con sede a Londra, per un finanziamento da 6 miliardi di euro. Quanto occorre per ampliare gli orizzonti della Champions League e delle società che hanno un disperato bisogno di soldi.
Fondata nel 2015 da Nizar Al-Bassam e Dalinc Ariburnu, ex banchiere d’investimento della Deutsche Bank il primo ed ex partner di Goldman Sachs Group il secondo, Centricus gestisce asset 30 miliardi di dollari ed è noto in ambito finanziario per aver supportato SoftBank nella raccolta di 100 miliardi per il fondo societario dedicato alle startup Vision Fund, per un tentativo di acquisto di TikTok quando Donald Trump impose a ByteDance la vendita della filiale americana e per alcuni investimenti poi non finalizzati con il Basilea, il più noto club calcistico elvetico.
Tutto gira attorno alla Champions League
Che l’Uefa non abbia altre strada da percorrere, del resto, è certificato anche dai dati finanziari sui conti della stagione 2019-2020 pubblicati proprio nel giorno in cui è stata annunciata la Superlega. Le entrate sono scese a 3,04 miliardi di euro rispetto ai 3,86 miliardi registrati nell’anno precedente (-820 milioni di euro), con il calo dovuto al minor numero di gare disputate, agli sconti concessi ai broadcaster e ai partner commerciali e ai mancati incassi per gli stadi chiusi al pubblico causa Covid. Nel complesso l’annata si è chiusa al 30 giugno 2020 con perdite per 73,9 milioni di euro, che per l’Uefa significa “aver assorbito con successo lo shock finanziario innescato dalla pandemia”.
Oltre le parole, a far capire quanto sia importante la Champions League per l’organo sportivo sono i 2,73 miliardi di euro ottenuti dalla massima competizione per club (il dato include anche le entrate generate dall’Europa League), cioè il 90% di quanto ricavato nel corso della stagione. Al confronto i 279,8 milioni di euro arrivati dai vari campionati nazionali sono un’inezia.