Il caso Me Two in Germania, le critiche di Klop e i ripensamenti di Tamberi: mentre la borsa rimanda i big della rete, cominciano i primi dubbi anche di atleti e tecnici
Chiara Ferragni non era ancora nata e gli sportivi top erano già influencer. Poi, come ha notato qualcuno, siamo passati dai poster ai post: e anche i campioni hanno dovuto adattarsi alla nuova realtà social. Forti di una grande visibilità, mondiale oltre tutto, hanno cominciato a lavorare per sfruttare i tempi social che sono più lunghi di ogni allenamento e di ogni partita o gara. Non c’è stato nemmeno bisogno di un lungo fidanzamento: sport e social si sono sposati per reciproca convenienza.
In questa estate 2018 lo abbiamo visto bene in Italia quale e quanto è il potere dei mezzi tipici della rete: la Juventus con l’ingaggio di Ronaldo è diventata il primo social team d’Europa, aumentando la distanza dalle altre squadre italiane che pure si stavano attrezzano con media room e strategie dedicate. Unico gol, quello del Napoli: siccome non tutti i tifosi possono andare al San Paolo, le magliette del club di De Laurentiis arrivano a casa loro grazie ad Amazon.
I social in Borsa non vincono
Negli ultimi giorni però ci sono stati segnali diversi dai soliti. Non in campo, in Borsa: si sono un po’sgonfiate le vele di Facebook e Twitter, che non crescono per quanto promesso e anzi perdono qualche follower per la strada. Allora diventa interessante guardare cosa succede nello sport: perché in effetti non c’è solo la Juve, ci sono anche tante altre voci dubbiose. Oppure certe, certissime nello schierarsi contro i social.
Prendiamo Jurgen Klop, l’allenatore del Liverpool che ha un modo di stare in panchina talmente sopra le righe che sembrerebbe un perfetto testimonial per i social. Oltre tutto testimonial lo e’davvero negli sport Opel. Ebbene, ha dichiarato che i social sono la parte più folle del mondo aggiungendo che “aver rinunciato ai social è la scelta più intelligente che ho fatto in vita mia”. Da notare che Klop è un allenatore giovane: solo 52 anni. Tedesco di nascita, inglese adesso per professione, dunque cittadino del mondo.
Quel mondo che i Mondiali hanno scombussolato in Germania: come il portiere tedesco dei Reds, Karius, è stato criticato e insultato in Rete per gli errori nella finale di Champions contro il Real Madrid, così Ozil, giocatore della nazionale ma di origine turca, è stato criticato e insultato per una sua foto prima della partenza per la Russia con Erdogan. Quando vinciamo, ha detto, sono tedesco: quando perdiamo sono uno straniero. Da qui la nascita di una resistenza social affidata a un hashtag espliciti: #metwo. A dire che la pluralità delle culture è una ricchezza, non un limite.
Bisogna meritarsi i like ?
Infine, l’Italia.
Però parliamo di un azzurro che ha sempre avuto un rapporto speciale coi social: Gianmarco Tamberi, Gimbo, il saltatore in alto che un po’ tutti abbiamo cercato di consolare per l’infortunio che gli è costato a poche settimana dalla gara la partecipazione ai Giochi Olimpici di Rio. Senza cinque cerchi Gimbo è diventato una star, una medaglia d’oro, proprio grazie alla Rete: e adesso che alla vigilia degli Europei di Berlino ancora non trova la forma migliore, la continuità che cerca, lui ha espresso un dubbio. Legittimo, ma in contrasto proprio con la sua carriera: meglio ritirarmi per un po’dai social, il suo pensiero, perché i like me li devo meritare.
E se una confessione del genere fosse uno dei motivi del recente ribasso di Facebook in Borsa? I social ci hanno detto che la credibilità è data dall’accessibilità, essere in Rete è di per se stesso un valore. Lo ha sperimentato Tamberi per affetto quando era infortunato. Adesso quei like gli sembrano gratuiti e gli rallentano la rincorsa. Almeno fino a quando non arriverà un social manager a dire che per saltare oltre i due metri è solo una questione di metriche.