Domani il CONI decide chi tra Milano, Cortina e Torino sarà la candidata per le Olimpiadi Invernali del 2026. Ma rispetto all’edizione piemontese del 2006. è cambiato tutto
Decidere ad agosto chi candidare per le Olimpiadi Invernali è già singolare. Dover decidere magari una candidatura comune tra Milano, Torino e Cortina per avere il supporto del Governo è un compito più difficile: ma in questa situazione si trova, suo malgrado, il CONI che per rimediare agli effetti, disastrosi, del no alla prosecuzione del percorso di Roma come candidata per i Giochi Estivi del 2024 aveva già deciso di puntare su Milano prima di trovarsi rallentato dagli equilibri difficili del nostro parlamento. Di sicuro domani l’Italia fa un passo che ci proietta tutti tra otto anni, e questo è uno dei valori principali di ogni candidatura a un grande evento, sportivo e non: dare un indirizzo al Paese. Però meritarsi il futuro significa ricordare le lezioni degli ultimi anni. Proviamo a riassumerle oltre che nelle parole nei numeri.
2013: Venezia aveva già anticipato la svolta
Nel 2013 quando il Governo Monti, dunque in una fase preventiva rispetto alla giunta Raggi, non firmò la lettera di appoggio alla candidatura di Roma per i Giochi del 2020, poi assegnati a Tokyo, l’Italia aveva già avuto un playoff nazionale. Roma aveva battuto Venezia che, singolarmente, presentava un modello di candidatura molto più simile a quello richiesto e concesso oggi dal CIO: low cost, una sede principale ma eventi permessi anche in altre città.
Non si era arrivati a un approfondimento: ma se oggi ai dirigenti dello sport brillano gli occhi al pensiero di una cerimonia d’apertura a San Siro, provate a immaginare l’effetto che avrebbe prodotto lo stesso evento con sfilata delle delegazioni sul Canal Grande e raduno degli atleti in Piazza San Marco. Di sicuro la cerimonia d’apertura non è un evento marginale, o una americanata infilata nel programma olimpico, al contrario è la migliore e più efficace campagna pubblicitaria di un Paese: al punto che da anni il budget per questi due eventi, compresa la cerimonia di chiusura, è slegato da quello dei Giochi e va a finire direttamente sul conto dei governi.
2014: Putin rompe gli equilibri a Sochi
Per le Olimpiadi Invernali del 2014 la Russia di Putin ha speso quasi 40 miliardi di Euro. Ovvio che i campanelli d’allarme abbiano cominciato a suonare a Losanna, sede del CIO, il Comitato Olimpico Internazionale. Oltre tutto, tenete a mente un dato: i Giochi sono assegnati con sette anni di anticipo. Quindi le Olimpiadi Invernali alla Russia sono state assegnate un anno prima dei Giochi Olimpici Estivi per i quali già si sapeva che Pechino non avrebbe badato a spese per presentarsi al mondo come economia ricca e credibile. Poi, dopo Pechino, nel 2009 a Copenhagen la Rio di Lula batté la Chicago di Obama e suonò un altro allarme, solo attutito dalla parsimonia pur sportivamente magniloquente di Londra 2012.
Insomma, dopo Sochi bisognava cambiare per evitare il rischio che i Giochi diventassero accessibili e possibili solo in un certo tipo di Paesi. Non è sbagliato dire che l’Agenda 2020, il documento con cui il CIO si è impegnato per ridurre il gigantismo e dunque i costi dei Giochi, è nata in Russia. Ma aggiungiamo due notizie. La prima: nel 2013, a Giochi ormai fatti, Thomas Bach subentra a Jaques Rogge come presidente del CIO. La seconda: la Champions League è uno degli eventi sportivi di maggior successo, anche perché l’organizzazione divide con i club partecipanti i ricavi.
Un miliardo alla firma del contratto
Nel chiedere che si evitino spese inutili, nell’impegnare il comitato organizzatore alla sostenibilità realizzata anche grazie a impianti temporanei, nello stabilire un preciso calendario dei lavori diviso in due parti (tre anni per la progettazione, quattro anni per la realizzazione: tabella che si traduce, lontani da ogni emergenza, in un ulteriore risparmio), l’Agenda 2020 stabilisce anche una novità.
La città che da candidata diventa sede dei Giochi (nel caso nostro succederà a settembre 2019 a Milano, anche con una variazione regolamentare: prima non sarebbe stato possibile votare nella sede di un congresso CIO per la città ospitante) riceve subito il primo acconto, un miliardo di Euro più o meno, garantito dal CIO grazie alle sponsorizzazioni e ai diritti TV. Dunque, si parte con il portafoglio che, già pieno, sarà poi arricchito da altre sponsorizzazioni: quelle nazionali, la vendita dei biglietti, i turisti, media, appassionati, il contributo degli enti locali.
Si paga con carta di credito fino al 2032
Le aziende partner del CIO non sono estranee all’Agenda 2020, al contrario loro pure sono impegnate al fianco delle città che ospitano i Giochi. Il Comitato Olimpico ha appena rinnovato la sua partnership con Visa, cominciata nell’86, fino al 2032. Visa ha un diritto non da poco: è l’unica carta di credito accettata nei siti olimpici, dunque negli impianti e negli store ufficiali. In compenso garantisce una robusta eredità in termini di pagamenti digitali in tutto il Paese che ospita i Giochi, anche ben oltre l’evento. Ed ecco perché pensare ai Giochi del 2026 significa partire dal presente per arrivare in un futuro già prossimo.
A settembre 2019 i partner del CIO diventeranno compagni di squadra della città che si sarà aggiudicata i Giochi. Visa potrà contribuire alla lotta ai pagamenti senza scontrini; Toyota darà un contributo alla mobilità pulita, sia dei mezzi provati che dei mezzi pubblici su gomma; Alibaba, che oltre tutto è già partner del CONI, metterà in vetrina per i mercati asiatici e non solo il meglio del made in Italy.