Partito nel 2015 su Kickstarter, il progetto di Craig Kasberg si propone di recuperare la pelle di salmone o i gusci dei crostacei per ottenere capi di abbigliamento sostenibili che rispettino l’ambiente e contrastino gli effetti negativi della cosiddetta fast fashion
Il recupero dei rifiuti dell’oceano si affaccia sull’orizzonte della moda con Tidal Vision. La startup che ha sede in Alaska, negli Stati Uniti, ha imprementato un modo per trasformare il materiale di scarto dell’attività di pesca in capi di abbigliamento. Un’idea sostenibile da due punti di vista. Il primo è il recupero di materiale desinato comunque ad essere buttato. Il secondo è l’incentivo a lasciare da parte la cosiddetta “fast fashion”, responsabile di una buona fetta dell’inquinamento mondiale. Stiamo parlando di un business che vale 2,5 bilioni di dollari e che porta con sé anche molte violazioni dei diritti umani.
I vestiti realizzati con gli scarti del mare
Craig Kasberg, ceo di Tidal Vision, si è lasciato ispirare dalla quantità di rifiuti che l’industria della pesca abbandona in mare: nella sola Alaska ogni anno finiscono per essere buttati quasi 2 miliardi di chilogrammi di sottoprodotti dell’oceano. La loro concentrazione in acqua può danneggiare l’ecosistema. Kasberg ha cercato di trovare un modo per ottenere qualcosa di utile dagli scarti. In particolare, le materie prime principali per la realizzazione di indumenti sono il chitosano, una sostanza che si trova nel guscio dei costacei, e la pelle di salmone che viene usata nell’industria della moda. Per chi teme che i prodotti finali emanino puzza di pesce, Kasberg precisa a Mashable: «Gli olii presenti nel pesce vengono sostituiti con prodotti vegetali. L’odore finale è simile a quello della pelle di mucca».
Una scelta per l’ambiente
Tra i prodotti che Tidal Vision riesce già a commercializzare ci sono accessori in pelle di salmone. Nella mission dell’azienda, portare con sè un portafoglio realizzato con questo materiale significa anche dare un messaggio chiaro dell’importanza che si attribuisce alla salute dell’ambiente. Non solo perché si dichiara di sostenere un processo di pesca che rispetta i tempi di riproduzione delle specie acquatiche e che cerca di non danneggiare il loro habitat. Ma anche perché è una scelta che consente di ridurre l’impatto che la produzione di capi di abbiagliamento quasi usa e getta ha sul pianeta in termini di dispendio di risorse e di costi per lo smaltimento: secondo le statistiche di McKinsey & Co ogni anno si producono più di 100 miliardi di indumenti e solo il 15,2 per cento viene riciclato.
Un progetto finanziato in 24 ore
Perché questa rivoluzione nell’industria della pesca e nella produzione dell’abbigliamento faccia davvero presa sul grande pubblico ci vorrà del tempo. Le persone continuano a preferire l’acquisto di vestiti che costano poco, anche se la loro scarsa qualità li costringerà a dismetterli dopo pochi anni o addiritura pochi mesi. Il successo ottenuto su Kickstarter al momento del lancio del prodotto di Tidal Vision nel 2015 dimostra, però, che l’attenzione a questi temi esiste. I finanziamenti necessari a partire con il progetto arrivarono in sole 24 ore. E oggi Tidal Vision ha esteso ancora di più la sua produzione aggiungendo altre tipologie di prodotti ricavati dal mare, come l’additivo per migliorare la qualità delle bevande o il fertilizzante che stimola la crescita delle piante.