Un paradiso tropicale, ad appena 60 chilometri a sud della capitale tedesca, realizzato in un hangar sovietico degli anni ’30: una foresta, spiagge, campi da golf, intrattenimento per bambini, e una boulevard piena di negozi in cui fare shopping.
Berlino è una città in forte espansione culturale, economica, urbanistica e sociale. Una trasformazione costante che dura dalla caduta del Muro. È una metropoli che, dopo averla visitata, lascia un’eredità sensoriale incredibile, non solo per il fardello della storia che si avverte in ogni platz, ma anche per le suggestive atmosfere create dal clima e dalla conformazione geografica del territorio su cui si poggia. Se non avete ancora visitato Berlino, a causa del clima o della mancanza del mare, ora non avete più scuse grazie al Tropical Island Dome, un’isola tropicale a pochi chilometri dalla capitale tedesca.
La storia dell’hangar
Il sito venne costruito nel 1938, e fungeva da aeroporto militare per la Pilot Training School Brand-Guben della Luftwaffe (che era l’aviazione militare tedesca, parte integrante della Wehrmacht durante il secondo conflitto mondiale). Verso la fine della seconda guerra mondiale, il campo di aviazione iniziò ad essere utilizzato dalle flotte aeree per i trasporti, in preparazione per le operazioni aria-terra. Dopo il 1943/44 servì anche come base d’aviazione alternativa per i caccia della Luftwaffe.
Nel ’45, poi, l’esercito sovietico occupa il campo d’aviazione, dove sorse così uno dei primi e più grandi aeroporti militari della Repubblica democratica tedesca, nata nel 1949. Oltre alla sua funzione di aeroporto militare, il sito venne utilizzato anche come scalo per le visite di stato dell’ex URSS. Il 17 ottobre 1963, atterrò un Tupolev, aereo di linea, che trasportò in loco i cosmonauti Valentina Tereshkova e Yuri Gagarin.
Dopo la caduta del Muro di Berlino, l’hangar sovietico venne preso in gestione dallo Stato federale di Brandeburgo. Si iniziò l’opera di bonifica, cancellando così rifiuti come serbatoi di kerosene e munizioni abbandonate. Il sito venne così acquistato dalla cordata formata dalla Land Brandeburgo e da diversi ex proprietari della società CargoLifter AG. Nel 2002, però, venne annunciata l’insolvenza, e l’hangar fu acquistato dall’attuale proprietario, ossia il consorzio malese PLC/Colin Au, che fin da subito progetta Tropical Island, il resort che porta le spiagge dove non ci sono.
Signore e signori, il Tropical Island Dome
365 giorni all’anno, 24 ore su 24, il Tropical Island Dome può ospitare circa sei mila persone ogni giorno, che possono passeggiare lungo le spiagge (ben due) bagnate da un “mare” caldo, esplorare la foresta in cui è stato ricreato il clima delle zone pluviali, rilassarsi nelle terme, far divertire i bambini nel parco acquatico, fare shopping nella boulevard e molto altro. Si trova a soli 60 chilometri a sud di Berlino, e 100 chilometri a nord di Dresda, nella famosa zona della Spreewald. Può essere raggiunta attraverso l’autostrada A113 di Berlino/Dresda, in treno (la stazione dista 5 minuti e c’è un servizio navetta), oppure con autobus che partono ogni ora dalle due città sopracitate.
Le cifre
Il Tropical Island Dome è costato poco meno di 80 milioni di euro, ed è stato ultimato a fine 2004, utilizzando 14 mila tonnellate di acciaio. Nel primo anno di attività si è sfiorato il milione di visite, e ad oggi la struttura dà lavoro a circa 800 persone.
Il sito è lungo 360 metri, largo 210 metri e alto ben 107 metri. È grande abbastanza da contenere la Statua della Libertà in piedi e la Torre Eiffel sdraiata su un fianco: il Tropical Islands Dome si estende su una superficie di 66.000 mq, la dimensione di otto campi di calcio.
Nonostante le sue dimensioni, l’edificio è in realtà abbastanza leggero: lo scheletro in acciaio sostiene un tetto a membrana ad arco. La sezione meridionale di questo è stato sostituito con un tetto a lamina speciale che permette alla luce ultravioletta di penetrare all’interno, rendendo così possibile ottenere un’abbronzatura naturale durante il soggiorno.
Insomma, un’isola su cui fare volentieri la parte del naufrago, anche se forse alzar la testa e vedere un tetto mentre si fa il bagno e si sorseggia un daiquiri con ghiaccio, non è proprio il solito sogno di vacanza.
Luca Scarcella