Sarà ospite allo StartupItalia Open Summit Winter Edition in collaborazione con Università Bocconi (12-13 dicembre). «Sono davvero felice di poter trasmettere un certo tipo di messaggio e far capire quanto potenziale inespresso ciascuno di noi ha»
«Se sei un atleta professionista e vuoi prepararti dal punto di vista fisico non lo fai da solo. Perché allora non dovrebbe valere anche per chi vuole lavorare sulle emozioni o sulla concentrazione?». Tra le prossime ospiti a SIOS22 Winter Edition in collaborazione con Università Bocconi (qui l’Eventbrite), Nicoletta Romanazzi fa la mental coach da 20 anni ed è a diretto contatto con sportivi e sportive, dal calcio al karate. L’abbiamo intervistata in vista della sua partecipazione allo StartupItalia Open Summit, in calendario lunedì 12 e martedì 13 dicembre a Milano, ultima tappa di un roadshow che nel 2022 ha toccato tutta Italia. «Sono una persona timida, ma l’idea di calcare certi palchi è sempre emozionante – ci ha raccontato -. Sono davvero felice di poter trasmettere un certo tipo di messaggio e far capire quanto potenziale inespresso ciascuno di noi ha».
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In attesa dunque di ascoltare dal vivo Nicoletta Romanazzi al SIOS22 Winter Edition, ci siamo fatti raccontare come è diventata mental coach. Originaria di Roma, ha fatto tutt’altro nella vita fino ai 35 anni. «Mi ero iscritta a Economia e commercio, ma dopo cinque esami sono scappata. Così ho iniziato a lavorare nell’azienda di famiglia, dove si producevano cassoni per camion. Ci sono stata nove anni, senza amare quel che facevo ma al tempo stesso senza sapere quel che volessi fare». Madre di tre figlie, Romanazzi è in parte a loro che deve l’opportunità di aver cambiato professione e sperimentato qualcosa che, vent’anni fa, non era così diffuso, nè compreso in Italia.
“Non lavoro sullo sport, ma sempre sulla persona”
«A farmi innamorare del mental coaching a prima vista è stato un corso di formazione di una giornata dedicato al raggiungimento degli obiettivi. Lì mi sono detta: è quello che voglio fare. Avevo 35 anni, con un percorso alle spalle completamente diverso». Nel corso della sua carriera Nicoletta Romanazzi ha seguito e segue atleti professionisti di ogni tipo come il velocista italiano Marcell Jacobs, il portiere della Juventus Mattia Perin, la karateka Viviana Bottaro e Alice Betto, campionessa italiana di triathlon. «Questo mestiere mi ha conquistata fin da subito perché ha un orientamento alla soluzione. Sfrutta un approccio positivo, più veloce. Non lavoro sullo sport, ma sempre sulla persona».
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Tutto però è partito dalle figlie, come anticipato. «Sono arrivata allo sport grazie a loro. Sono state agoniste nel salto a ostacoli e per anni le ho accompagnate a tutti i concorsi ippici. A un certo punto sono stata coinvolta come mental coach nella squadra e mi sono divertita a preparare mentalmente atleti così giovani». Poco dopo è arrivato il primo atleta professionista, Andrea Mari, scomparso nel 2021 a seguito di un incidente stradale. «Il primo anno che ho seguito Andrea ha vinto il Palio di Siena. Nei successivi otto anni ne ha vinti cinque».
“Chi comincia a giocare con la testa, vive in modo diverso”
Sempre grazie alle figlie è entrata poi in contatto con il mondo del rugby. «Giocavano per Le Fenici di Bologna. Da ultime, hanno scalato la classifica». Da quel periodo, tutto si è poi sviluppato grazie al passaparola. «In Italia per diventare mental coach non c’è una università, o un master. Ci sono corsi di formazione». Con 20 anni di esperienza, oggi Nicoletta Romanazzi raccoglie i frutti, ma continua ancora a scontrarsi contro pregiudizi e scetticismi da parte di sportivi e non solo. La pandemia, è vero, ha reso l’opinione pubblica più sensibile rispetto al tema della salute mentale. «Ma l’idea di fondo resiste: chi va dallo psicologo o dal mental coach sarebbe una persona debole».
Romanazzi segue alcuni dei suoi atleti da più di sei anni. «Non mollano. Chi comincia a giocare con la testa, vive in modo diverso». E non soltanto se si parla di sport. «Se mi capita un’esperienza negativa e mi concentro soltanto sul dolore, porto a casa solo cose brutte. Se invece mi pongo domande potenzianti, ad esempio quali risorse quella situazione mi ha obbligato a fare emergere, allora tirerò fuori tante cose positive». Come mental coach il lavoro di Romanazzi è sempre stato quello di lavorare sui meccanismi mentali che tutti noi abbiamo. Chi non ha preferito almeno una volta la scorciatoia degli alibi e delle scuse a quella dell’assunzione di responsabilità?
«Prenderci la responsabilità dei nostri risultati è una delle prime cose da cui parto». Tra gli ospiti del prossimo SIOS22, abbiamo chiesto alla mental coach come intende il suo lavoro: è sempre un dietro le quinte? «Per me è sempre stato così. Molti atleti avevano paura di essere giudicati male, paura che se il mister avesse scoperto che erano seguiti da una mental coach non li avrebbe più messi in campo. Ho sempre rispettato tutto questo. D’altra parte sono anche molto felice di poter raccontare il mio lavoro perché mi rendo conto di quanto possa esser importante».