«L’Unione europea non ci tratta bene sul commercio». Con queste parole Donald Trump sembra sempre più intenzionato a far scoppiare una guerra dei dazi col Vecchio continente, dopo aver già colpito Canada, Cina e Messico. «Se ci impongono un dazio doganale o una tassa, noi applichiamo loro esattamente lo stesso dazio o tassa, è semplice», ha detto il tycoon accusando i 27 Paesi membri della Ue di comportarsi «peggio dei nostri nemici». Ma per Trump «i giorni» degli accordi multilaterali sul commercio «sono finiti».
Mario Draghi striglia la Ue
Se le parole di Trump sferzano l’Europa, il vero cazzotto nel basso ventre di Bruxelles arriva però dall’ex presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, che in Europa gode di particolare stima: «È necessario un cambiamento radicale», scrive l’ex presidente della Bce sulle pagine del quotidiano finanziario Financial Times. «Un uso più proattivo – motiva Draghi – della politica fiscale, sotto forma di maggiori investimenti produttivi, contribuirebbe a ridurre i surplus commerciali e invierebbe un forte segnale alle aziende affinché investano di più in ricerca e sviluppo».
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«Le barriere interne – evidenza l’ex premier – sono un retaggio di tempi in cui lo stato nazionale era la cornice naturale per l’azione. Ma è ormai chiaro che agire in questo modo non ha portato né benessere agli europei, né finanze pubbliche sane, né tanto meno autonomia nazionale». Per Draghi «l’Europa ha imposto con successo dazi su se stessa». Questo in quanto «le barriere interne dell’Europa equivalgono a una tariffa del 45 percento per la produzione e del 110 percento per i servizi». Inoltre «l’Europa ha di fatto aumentato le tariffe doganali all’interno dei suoi confini e rafforzato la regolamentazione in un settore che rappresenta circa il 70% del Pil dell’UE».
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Quanto costeranno i dazi alle PMI?
Ma veniamo ora a un’analisi che riguarda da vicino il nostro Paese. Un’indagine condotta da I-AER (Institute of Applied Economic Research) su un campione di 591 PMI in settori strategici ha evidenziato un dato preoccupante: il 74% delle imprese italiane dipende in modo critico dall’importazione di materie prime dalla Cina e da altri mercati asiatici. L’introduzione di dazi doganali in Europa e negli Stati Uniti potrebbe rendere insostenibile l’attività produttiva di molte aziende, con un impatto significativo sull’economia nazionale.
Secondo i dati raccolti da I-AER, i nuovi dazi potrebbero ridurre il PIL generato dalle PMI italiane del 12% entro la fine del 2025 e causare un aumento del 15% nei fallimenti aziendali. Inoltre, il 48% delle imprese esportatrici teme di perdere competitività sui mercati internazionali a causa dell’incremento dei costi di produzione.
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Le Regioni più esposte alla guerra commerciale
Le Regioni italiane a vocazione manifatturiera subiranno le conseguenze più gravi di una possibile guerra dei dazi combattuta su un doppio fronte, Est e Ovest. Le più colpite saranno la Lombardia, con la sua forte dipendenza dalle forniture asiatiche nei settori meccanico ed elettronico, il Veneto e la Toscana, con i distretti della moda e della pelletteria, e il Piemonte, cuore dell’industria automobilistica, potrebbero essere duramente colpiti dall’aumento dei costi di produzione.
L’Unione Europea riceve dalla Cina il 56% delle materie prime critiche, fondamentali per l’industria e la transizione energetica. Una loro carenza potrebbe compromettere il 47% della capacità eolica e il 66% della produzione di veicoli elettrici previsti per il 2030. Per l’Italia, che dipende per il 32% del suo PIL da queste materie prime, le ripercussioni sarebbero insomma preoccupanti.
Una economia già provata
Tutto questo andrà a innestarsi in settori già messi a dura prova negli ultimi mesi. Il comparto manifatturiero ha subito un aumento dei costi delle materie prime del 7% nell’ultimo anno. Questo ha determinato una contrazione della produzione industriale del 3,3% nei primi nove mesi del 2024 rispetto allo stesso periodo del 2023. Secondo le previsioni, il 67% delle imprese manifatturiere potrebbe ridurre ulteriormente la produzione già nel primo trimestre del 2025, compromettendo la competitività del settore.
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Anche il comparto moda e tessile, da sempre uno dei pilastri dell’economia italiana, sta affrontando difficoltà crescenti. La Cina, principale fornitore di tessuti a basso costo, ha visto aumentare i suoi costi di produzione, determinando una flessione della produzione italiana: -15% per le pelli, -9% per l’abbigliamento e -6% per il tessile nei primi nove mesi del 2024. Le esportazioni del settore sono calate del 4,5%, mentre il fatturato ha registrato una contrazione del 9%. Se i dazi sulle importazioni cinesi dovessero superare il 25%, il 58% delle aziende del comparto prevede di aumentare i prezzi di vendita, con il rischio di perdere competitività sui mercati internazionali.
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Il settore agroalimentare ha mostrato una certa resistenza, con un incremento dell’export del 9% nei primi dieci mesi del 2024, trainato da un +18% negli Stati Uniti, per un valore complessivo di 7,8 miliardi di euro. Tuttavia, l’aumento dei costi legati agli imballaggi e ai fertilizzanti, unito ai possibili dazi sulle importazioni, potrebbe compromettere i margini operativi del 63% delle imprese del settore.
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L’industria automobilistica è tra i settori più colpiti dalle nuove politiche commerciali. La produzione di autoveicoli è diminuita del 27,5% rispetto al 2019, riportando il comparto a livelli produttivi molto più bassi. L’Unione Europea, nell’ottobre 2024, ha introdotto dazi sulle auto elettriche cinesi, con tariffe dal 17% per BYD al 35% per il gruppo SAIC. Questa misura, volta a contrastare la concorrenza sleale delle aziende cinesi, sta però incidendo sui costi delle imprese europee, in particolare quelle italiane della componentistica auto.