Una giornata come questa, la Festa dei Lavoratori, è sempre un momento di riflessione su come il lavoro viene vissuto e su quali siano le condizioni di lavoro oggi. Siamo nel 2024 è il lavoro è fortemente cambiato rispetto a 20-30 anni fa. L’era del digitale ha certamente contribuito a creare un contesto nuovo e, senza dubbio, anche opportunità e rischi nuovi.
Molti di voi sanno quanto il tema del lavoro sia cambiato nel periodo della pandemia e nel periodo successivo. Il periodo della pandemia ha contribuito a mettere al centro il digitale come condizione unica per poter portare avanti le attività quotidiane. Ma quel periodo ha contribuito anche a prendere coscienza del fatto che lavorare da casa fosse meno stressante. Tanti in quel periodo hanno poi abbandonate le proprie città per recarsi in luoghi meno stressati, lontani dalle grandi metropoli.
Cos’è il job burnout?
Il lento ritorno alla normalità, una nuova normalità è il caso di dire, ha fatto emergere, come dicevamo in apertura, situazioni del tutto nuove. E parliamo del “job burnout” o della sindrome da burnout lavorativo. Si tratta di una condizione psicologica di esaurimento emotivo, mentale e fisico causata da stress prolungato o frustrazione sul posto di lavoro.
Il fatto stesso di essere perennemente online, contattabili e rintracciabili anche con un semplice messaggio ha reso il mondo del lavoro sempre più fluido. Una condizione che porta le persone a staccarsi con difficoltà dalle situazioni di lavoro, finendo per alienarsi, in casi più gravi, dalle relazioni personali.
Una situazione del tutto nuova. O meglio. Alcune manifestazioni si erano presentate ben prima della pandemia, ma l’arrivo del Covid-19 e il successivo lockdown hanno acutizzato la situazione. Il burnout lavorativo è poi esploso nella fase post pandemica. Molte persone sono state sopraffatte dalle continue situazioni lavorative e hanno cominciato a manifestare situazioni di malessere.
Una ricerca di McKinsey ha rilevato il livello di burnout lavorativo a livello globale. Ebbene, in Italia si scopre che il 16% (rispetto al 22% della media globale) delle persone che hanno preso parte alla ricerca presenta sintomi da burnout. Mentre il 43% si dice esausto; il 26% accusa una avversione mentale al lavoro. A conferma di questi dati, una ricerca pubblicata su “Journal of Clinical Psychology” ha dimostrato che il 23% dei lavoratori da remoto è più esposto a livelli alti di burnout a causa della difficoltà nel separare il lavoro dalla vita personale.
E, essendo perennemente connessi, in questa situazione hanno giocato un ruolo importante anche i social media. Questi strumenti che, talvolta, agiscono come una lente d’ingrandimento sulle dinamiche sociali e lavorative, esasperando il senso di inadeguatezza attraverso il confronto sociale.
Le piattaforme digitali sono diventati luoghi di condivisione di situazioni ed esperienze di lavoro da condividere con latri utenti. Da questo punto di vista sono nate diverse iniziative su X (ex Twitter), su LinkedIn, su Instagram in particolare che hanno trattato il tema del burnout.
Ad esempio. Una ricerca della Stanford University ha rivelato che frequenti confronti su piattaforme come LinkedIn possono intensificare il burnout, con il 30% degli utenti che riporta un aumento del senso di competizione professionale. I social media, da sempre palcoscenico di condivisione di esperienze e opinioni, sono diventati un luogo virtuale dove sempre più persone sfogano la propria frustrazione e rabbia per le condizioni lavorative precarie, gli stipendi bassi e lo stress psicologico.
Storie di burnout, licenziamenti ingiusti, sfruttamento e mobbing riempiono le bacheche e i gruppi dedicati al lavoro, diventando un grido di dolore collettivo e, allo stesso tempo, una richiesta di aiuto.
Allo stesso tempo, questi strumenti digitali offrono supporto e comunità, dove i lavoratori condividono esperienze e strategie per gestire lo stress. Val la pena segnalare #Burnout e #StopBurnout, hashtag usati su X (ex Twitter) e Instagram da persone che condividono le loro esperienze con il burnout, offrendo visibilità al problema e generando discussioni.
Ma ogni giorno ci sono persone che condividono sui propri canali la propria situazione. Anche se non tutti, perché poi la gran parte non riesce a farlo per ovvi motivi. Ed è qui che si interviene con un supporto psicologico adeguato. Con l’ausilio di tante associazioni che stanno attivando iniziative in questo senso.
C’è poi da fare un altro appunto che è figlio di questi tempi. Se è vero, come è vero, che i soggetti più segnati dal burnout sono quelli definiti Millennials, è anche vero che la categoria successiva ne sarebbe ancora più a rischio.
Stiamo parlando della “generazione Z”, una categoria di persona che si appresta ad entrare nel mondo del lavoro con un carico di ansia notevole. Gli appartenenti alla “generazione Z” sono quelle persone che nel corso del tempo abbiamo imparato anche a definirli “nativi digitali”. La prima categoria di persona che è nata nell’era del digitale.
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Persone che usano con estrema dimestichezza, e attenzione, gli strumenti digitali che presentano esigenze completamente diverse rispetto alle generazioni precedenti. Sono persone molto attente ad uno stile di vita sano che ma si collega a ritmi lavorativi forsennati. Sono persone che mettono al primo posto il benessere mentale rispetto a tutto il resto.
E sono anche le persone più sensibili da questo punto di vista che vivono il burnout, e anche l’overflow, con grande difficoltà. La loro ricerca del lavoro sarà dettata dal desiderio di restare autonomi, dalla flessibilità, dalla ricerca di una occupazione che abbia un significato ed un impatto positivo sul mondo.
Di conseguenza, di fronte ad una generazione così popolosa e così diversa dalle altre, anche le aziende saranno costrette a cambiare, sotto tutti i punti di vista. In una giornata come questa era necessario soffermarsi su come il lavoro è cambiato e cambierà ancora. Un cambiamento che viene dettato da necessità contingenti che tiene conto delle nuove dinamiche sociali che avanzano.
Un cambiamento che dovrà fare i conti sempre più con le tecnologie che avanzano. Basti pensare all’avanzare dell’intelligenza artificiale che impone una riflessione seria sul lavoro del domani. Che non scompare ma che muta inevitabilmente.