New York chiama Italia. Un gruppo di imprenditori visionari si incontra a Manhattan e dopo aver creato imprese globali e imparato tutto quello che serve, decide che è il momento del give back. Di restituire all’Italia. Così nasce un ponte per l’innovazione italiana a New York, oggi il secondo polo tecnologico globale dopo Silicon Valley. Il progetto si chiama I³/NYC – Italian Innovators Initiative, è stato presentato ieri sera al Consolato Generale d’Italia nella Grande Mela.
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I magnifici 7 dell’I³/NYC
A guidare l’iniziativa, sette innovatori con una visione comune: far crescere l’ecosistema italiano. Tra loro: Andrea Calcagno, founder della scaleup Cloud4Wi; Gianluca Galletto, economista e manager esperto di urban tech; Alessandro Piol, venture capitalist; Ileana Pirozzi, angel investor; Simone Tarantino, esperto di accelerazione; Dario Calogero, imprenditore seriale, Stefania Monda, avvocato specializzata in tech che abbiamo intervistato solo la scorsa settimana. Un team che mette a disposizione competenze e connessioni.
L’iniziativa, interamente non profit, è un’opportunità unica per startup, talenti, aziende italiane che vogliono scalare in modo globale partendo da NYC. In città ci sono 25mila startup, 145 unicorni, più di 100 incubatori, acceleratori, centri di ricerca e università. I posti di lavoro nel mondo tech sono aumentati del 160% in 15 anni (oggi sono 369mila). I capitali raccolti in venture capital dal 2019 ammontano a 164 miliardi di dollari.
C’è di più.«A New York alleni il lateral thinking. Ti relazioni con la diversità, di interessi e di persone. Non ti guardi allo specchio e ti racconti sempre le stesse cose in una sorta di bolla, fatta solo di tech people» racconta Calcagno, founder di Cloud4WI, startup nata a Pisa, cresciuta a San Francisco, che ha spostato il quartier generale a New York nel 2019. «Una diversità anche di settori e competenze culturale senza pari al mondo. Se fai cybertech, per esempio, i grandi acquirenti sono qui: finanza, real estate, healthcare, utilities e il mastodontico settore pubblico (110 miliardi solo di bilancio comunale)».
Tra i programmi di I³/NYC: mentorship mirata per talenti, facilitazione di connessioni per founder, percorsi educativi per aziende e istituzioni. In più un osservatorio sull’Intelligenza artificiale, con il monitoraggio delle tendenze e delle applicazioni per l’’Italia.
«New York rappresenta la principale porta d’accesso ai mercati americani, un luogo dove le imprese possono scalare rapidamente» aggiunge Gianluca Galletto, chairman del progetto, già capo del commercio estero della città di New York e advisor per l’innovazione dell’ex sindaco Bill De Blasio. «Lavorando con interlocutori del mondo business e governativo, ho visto Paesi europei, oltre a Gran Bretagna e Israele, sfruttare sempre più questo hub per crescere. Un esempio per tutti? La Francia, ha lanciato qui più di 10 unicorni. Perché non fare lo stesso con l’ecosistema italiano?».
La comunità italiana dell’innovazione a New York è già un attore chiave nell’ecosistema locale. Ecosistema attivo non solo nel campo dell’hi-tech (fintech, climate tech, AI, e deep tech), ma anche nelle life sciences e nei settori tradizionali come moda e agroalimentare. A questa realtà si aggiunge una vastissima comunità italo-americana con eccellenze in tutti i campi.
«In Italia non si comprende ancora quanto grande e potente sia l’ecosistema newyorkese. C’è una sorta di bias verso la East Coast. Eppure più di 6.000 innovatori italiani vivono in città. Se cresci qui, cresci in Italia. Non si tratta di trasferire tutto a New York o di portare via i cervelli: ricerca e sviluppo restano a casa. Qui vieni per esportare e acquisire clienti americani. La sola città ha un’economia che supera il trilione di dollari, metà dell’Italia e grande quanto Olanda, e l’area metropolitana vale oltre i 2 trilioni. New York offre un’infinità di potenziali clienti in un raggio di soli 100 chilometri».
E per spiegare le potenzialità, Galletto cita l’esempio della moda italiana. «È diventata grande, globale, quando negli anni Ottanta ha iniziato a espandersi qui. Headquarter, l’ufficio stile e desing rimangono nel nostro Paese, qui apri solo l’ufficio vendite. Questo è ciò che chiamiamo internazionalizzazione».
New York sarà la nuova Silicon Valley? C’è da scommetterci. Intanto da tempo la Grande Mela attira sempre più aziende tech. Google, Apple, LinkedIn, Meta, Salesforce, Open AI hanno aperto nuovi uffici qui. «Ho conosciuto Spotify quando lavoravo per il Comune- continua Galletto – e avevano aperto una sede a NY. Erano meno di una decina. Ora sono un colosso con 3mila dipendenti a New York, 1.700 a Stoccolma, e 9 mila nel mondo».
Intanto, la città che non smette di innovare è – anche secondo un recente report di Accenture – sempre più un attore di rilievo nel campo dell’Intelligenza artificiale. Io parto, vado a caccia di nuove storie. Ci vediamo lì?