In una società molto competitiva, puoi emergere affilando le unghie, oppure puntando sulla qualità delle relazioni umane. Fabiana Zangara, avvocato e imprenditrice a New York ha cercato, nella sua carriera, una sintesi fra questi due aspetti. Romana, arriva per la prima volta in America all’età di 24 anni, dopo aver vinto, alla Sapienza, il titolo di “Laureata eccellente”, ottiene una borsa di studio per formarsi nella Grande Mela. E da quel giorno non è tornata più indietro. È specializzata in pratiche di immigrazione per imprenditori e startupper che vogliono lanciare un business in America.
“Qual è il tipo di visto più adatto per un founder? Come portare in America dipendenti altamente qualificati?”, sono queste alcune delle domande dei suoi clienti a cui risponde, tra questi molte startup, alcune conosciute anche nel nostro Paese, come Eight Sleep Inc., entrata anche nel più famoso acceleratore al mondo, Y Combinator:
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«Quando ho iniziato non sapevo neanche cosa fosse un immigration attorney. Tutto è nato per caso, con amici e conoscenti che mi chiedevano consigli sulle loro pratiche di immigrazione, rassicurati dal fatto che stessi studiando le leggi americane. Il settore poi mi ha incuriosito e così ho scelto di fare un tirocinio presso uno studio specializzato in materia», racconta Fabiana a Startupitalia.
Contro la logica della fee oraria
All’inizio del suo percorso Fabiana si fa le ossa in un grande studio legale di New York. Qui le regole del gioco sono chiare. Tutte le relazioni con i clienti sono governate dalla fee oraria: «Ho sempre pensato che questi limiti rischiassero di inibire il cliente, che preso dall’ansia del tempo non riusciva a sciogliere ogni suo dubbio. Quando ho capito che le regole del gioco mi stavano strette, ho deciso di mettermi in proprio», svela Fabiana.
Oggi è titolare di Zaca Law, uno studio legale che mette insieme legali provenienti da diversi Paesi, Irlanda, Gran Bretagna, Italia, Colombia, per supportare, soprattutto, imprenditori che hanno l’ambizione di cambiare il mondo.
La zia d’America
Funziona così. Lo startupper o l’imprenditore che vuole aprire una sede in America si rivolge al suo studio. Loro si occupano, innanzitutto, di studiare qual è il visto che si adatta di più alle loro esigenze. Poi spiegano ai loro clienti come portare sul posto dipendenti altamente qualificati e come entrare in America da investitori.
E ancora come ottenere un visto per extraordinary abilities, un visto non riservato solo agli artisti, ma a tutti coloro che dimostrano delle abilità straordinarie in alcuni settori come fotografia, scrittura, design, cinema ecc. E poi c’è la fase due, con la possibilità offerta da Fabiana e dal suo team di connettersi alla loro rete di esperti in diritto societario, o ancora incubatori e venture capital.
Come aprire una startup a New York
Dal suo osservatorio ne ha visti startupper e imprenditori che sono riusciti ad affermarsi e altri invece che hanno perso soldi, a volte anche ipotecando la propria casa. Fabiana offre alcuni consigli per le startup che vogliono affermarsi in terra newyorchese, per ridurre i rischi e muoversi al meglio in città:
«Paradossalmente l’errore più comune lo vedo negli startupper che sono più esperti nella materia del loro business. Malgrado le loro grandi competenze, pensano che ci siano delle affinità tra il mercato europeo e quello americano, ed è qui che sbagliano. Hanno bisogno sempre di studiare a fondo il mercato, affidandosi a professionisti del posto, o ancora meglio a startupper e mentor che hanno dovuto affrontare o risolvere i loro stessi problemi. E ancora essere familiari con l’idea del fallimento. Non c’è un imprenditore o startupper di successo che ho seguito qui a New York che non abbia sbagliato almeno una volta, che sia ricaduto e abbia saputo rialzarsi», consiglia.
Un difficile adattamento
Oggi è perfettamente integrata nella società americana, ma ci svela che non sono state tutte rose e fiori. «Il sistema americano ti costringe a uscire sempre dalla tua comfort zone. C’è questa lotta estenuante per cercare di affermarsi, in un contesto altamente competitivo, nel quale ogni emozione, successo, fallimento, è amplificata all’ennesima potenza. Cosa mi manca dell’Italia? La spensieratezza dei rapporti umani».