La politica dovrebbe fondarsi su definibili come ingenue in senso positivo, perché rivendicano una visione altruistica, cosmopolitica e ambientalista del mondo. La tesi di Luciano Floridi nel suo libro “Il verde e il blu”
Da alcuni decenni la nostra vita si divide tra online (i nostri profili social, le nostre interazioni su internet) e offline (le attività e gli incontri di persona). Per molto tempo questi due aspetti della nostra esistenza sono stati contrapposti. Luciano Floridi, direttore del Digital Ethics Lab dell’Università di Oxford, ha dato un nome a qualcosa che esiste da qualche anno: l’onlife, cioè la mancanza di confini tra vita virtuale e analogica.
“Oggi noi viviamo in un nuovo spazio, l’infosfera, e la sfida più grande che abbiamo di fronte è capire come prendercene cura – afferma – per farlo, serve una buona politica”.
Una politica che parta dalle relazioni, e non dai nodi. Che si concentri sulle persone e non sugli enti. È questa una delle proposte contenute nel libro “Il verde e il blu” di Floridi, che è anche ordinario di Filosofia ed Etica dell’informazione all’Università di Oxford e di Sociologia della Cultura e della Comunicazione all”Università di Bologna.
Nel volume Floridi propone cento idee, da lui definite provocatoriamente ingenue, per migliorare la politica. “Credo che dovremmo iniziare a pensare alla politica come la gestione della ratio publica e non della res publica – afferma l’esperto –. Si tratta di spostare l’accento, capire su che cosa vogliamo concentrarci prima. Nella pratica, questo significa per esempio parlare di rapporti di forza tra i partiti invece che di partiti, di cittadinanza invece che di cittadini”.
Per far comprendere meglio il concetto, Floridi invita a pensare al linguaggio, “qualcosa che non esiste come entità, ma è ciò che la comunità di parlanti ha scelto come italiano, per esempio. Noi nasciamo in questa lingua, la usiamo, la trasformiamo e poi questa ci sopravvive”.
Su quali basi
Nei paesi anglosassoni, il trust è un ente giuridico caratterizzato da un rapporto fiduciario tra chi amministra i beni di altri a vantaggio di altre persone o enti. In questa struttura nessuno ha la titolarità dei beni: non il donatore, che li ha appunto donati, né il fiduciario, che si limita ad amministrarli, e tantomeno i beneficiari. Per Floridi questo è un buon esempio di gestione. La sua proposta è di utilizzare questo modello come fondativo della società umana: in questo caso, i donatori sarebbero tutte le generazioni presenti e passate; i fiduciari la generazione presente, i beneficiari quella presente e le future. In questo modello (definito trust universale), ciascuna persona è un nodo all’interno di una rete che, nei limiti del possibile dovrebbe prendersi cura della rete stessa, al di là dei bisogni e delle esigenze individuali.
“Questo modello è flessibile e non incentrato sull’individualismo, ma per metterlo in pratica serve un salto cognitivo: ho l’impressione però che questo avvenga solo quando siamo forzati a farlo. Se la realtà ci spinge a vedere il mondo in una maniera differente perché altrimenti non possiamo proseguire, allora ecco che la nostra capacità di concettualizzare il mondo cambierà. Ma, laddove questo non accadrà, rimarremo ancorati a un mondo che pensa in termini di cose. Basti pensare a come si è evoluto il concetto di denaro, un tempo era molto fisico (il termine pecunia viene dal latino pecora, e salario da sale) oggi abbiamo valute del tutto convenzionali come l’euro o il dollaro, il cui valore è stabilito dalla società.”
Quali sfide
Le tre grandi sfide che ci troveremo a fronteggiare nei prossimi anni riguarderanno l’ambiente, la politica e l’economia: “Credo che il digitale debba essere usato per salvare il nostro pianeta”, afferma Floridi. Il verde e il blu del suo libro richiamano proprio l’ambiente e la tecnologia, che devono andare di pari passo. “Vi è poi una dimensione socio-politica: il digitale deve stare dalla parte della democrazia”. Ciclicamente in Italia si torna a parlare di democrazia diretta, che sarebbe possibile grazie anche al digitale. “Credo che, così come viene intesa oggi, questa sia una forma di tirannia della maggioranza – asserisce Floridi – quando si chiede al cittadino di scegliere tra sì e no si sta scavalcando il momento di costruzione del consenso, si sta eliminando il dibattito che porta alla formazione di una maggioranza e di una minoranza”. La versione positiva della democrazia diretta esiste, ma parte da prima: “Occorre coinvolgere le persone nella costruzione di ciò che andremo a discutere, senza limitarsi a proporre loro un menu preconfezionato in cui la loro capacità di scelta si limita all’espressione di una preferenza su cui qualcun altro ha già deciso”.
E, infine, la questione economica: “Il digitale può essere polarizzante, ma dovrebbe contribuire a una redistribuzione più equa della ricchezza – spiega il filosofo – si pensi a cosa potrebbero fare i big data e l’intelligenza artificiale se utilizzati per tassazione, per esempio”.
La rivoluzione digitale ha impiegato pochi decenni per compiersi, a differenza di quella industriale (per la quale sono serviti secoli) e di quella agricola (addirittura millenni). “Nei prossimi anni sarà centrale la governance che daremo al digitale e questo dipenderà dalla politica”, conclude Floridi.