«Il modello Chiellini non funziona. Va bene aprire l’ecosistema della finanza delle startup a personaggi conosciuti al grande pubblico, ma non in questo modo». Ha il dono della franchezza Fausta Pavesio che ha fatto la storia dei finanziamenti nell’innovazione. È angel investor dal 2012, dopo oltre 35 anni di carriera nel Management Consulting in Italia e USA. Ha ricoperto il ruolo di Venture Partner per StartupWiseGuys. Oggi vive a Stoccolma, è membro di Nordic Angels e si dice in pensione (anche se ci svela che continua a supportare giovani startupper a crescere). Recentemente, ha fatto un post su Linkedin che ha attirato tanta attenzione e reaction degli operatori del settore. Nel post criticava l’iniziativa dell’ex giocatore della Juventus, Giorgio Chiellini che annunciava di aver preso parte a un nuovo club di investimento, Akka Italy (ne parliamo qui).
L’alternativa al modello Chiellini
«Premetto che sono una fan sfegatata di Chiellini, da juventina. Tuttavia, avevo già letto un suo post dove spiegava che la prima cosa che guardava in una startup era la liquidation preference, così “era sicuro che i suoi soldi tornavano indietro”. Questo è un messaggio sbagliatissimo perché puoi avere la liquidation preference che vuoi, ma se la tua startup fallisce, i soldi non li vedi più. Un personaggio così celebre non può fare disinformazione. Iniziative come queste sono un pericolo per tutto l’ecosistema», sottolinea Fausta.
La prova del nove di questo suo ragionamento è il livello dei commenti che è possibile leggere sotto i post che promuovono l’iniziativa di Chiellini, da “grande capitano” a “forza Juve”, «che non sembra propriamente un commento di un investitore e anche quando ci sono domande interessanti, le risposte che ricevono gli utenti sono inappropriate”». Aggiunge poi Pavesio: «Mi chiedo, non è che – l’obiettivo è esclusivamente vendere membership?». Altro aspetto critico dell’iniziativa che mette in luce è di aver creato un club di investimento esclusivo che promette di democratizzare l’accesso alle startup. «Delle due l’una: o sei esclusivo o democratico. Poi se entri nel dettaglio del loro modello tra fee per entrare, fee annuale e il carried investment, si arriva a costi sproporzionati per i membri».
Tuttavia, l’intento di Fausta è di mostrare altre tante iniziative di educazione al mondo degli investimenti per startup che, al contrario del modello Chiellini, possono funzionare. L’esempio è del Nord Europa. Fausta ci racconta che a Stoccolma frequenta un gruppo che mette insieme business angel del Nord Europa, Nordic Angels: «Il protagonista di questa iniziativa è un uomo comune, Patric blir Ängel, che diventa simbolo di tutti gli impiegati svedesi. Nei video e nei podcast, in tutto 35 puntate, fa una serie di esperienze per avvicinarsi al mondo degli investimenti alle startup. Prima incontra un gruppo di angel esperti a cui fa domande. Poi si confronta con delle startup che fanno dei pitch e lui, con il supporto di un business angel, fa domande per capire se e come investire. Insomma, questa è solo una delle iniziative possibili, ma questa è la direzione per allargare la consapevolezza nel sistema», spiega.
Come l’Europa può ritrovare competitività
Approfittiamo della sua grande esperienza per farci offrire la sua opinione su altri temi caldi, come la competitività delle startup italiane ed europee, il ruolo delle donne nell’ecosistema dell’innovazione e sulla necessità, soprattutto oggi, da parte degli startupper di avere ancora il coraggio di sbagliare. «Ho compiuto 70 anni e devo confessare che mi sono stancata di sentire delle cose. Per esempio, di chi dice che solo esportando in Germania sta internazionalizzando il suo business. Ormai il mercato è l’Europa. Non ha più senso parlare di una startup tedesca, francese o italiana, ma bisognerebbe ragionare in ottica europea, perché solo così avremmo qualche possibilità di competere con il mercato americano».
«In Italia – prosegue nella sua analisi – poi ci sono ancora troppi vincoli burocratici. Faccio due esempi. Con degli amici volevano trasformare degli Ape Calessino in un servizio di trasporti per turisti. Ma non essendo un taxi, e non essendo un NCC, non abbiamo potuto farlo. Poi vedo che un’imprenditrice di 50 anni, che ha fatto e venduto aziende e vuole aprire un suo fondo deve scontrarsi con CPD e non ci riesce. Insomma, con questi vincoli è difficile spingere le persone ad andare oltre, a lanciarsi. Vedo poi le differenze con l’America anche negli investimenti, oggi in Italia un investor che si lega a una startup ha 30 fogli da visionare e firmare. Sono troppe per delle scelte, che soprattutto agli inizi di una startup, un investor fa di pancia».
Altro aspetto che evidenzia Fausta è la necessità, per migliorare la competitività dell’ecosistema delle startup europeo, favorire le operazioni di M&A: «Vedo in Italia tante piccole startup sopravvivere. Ma sarebbe più intelligente farle morire e avviare nuove imprese, con l’esperienza acquisita. O ancora cercare di legarsi a un’altra realtà. I processi di aggregazione andrebbero favoriti».
Donne e impresa: il rischio di «parlarsi addosso»
In tutta la sua carriera, ha sostenuto attivamente il ruolo delle donne nell’imprenditoria e nell’angel investing partecipando spesso come relatrice ad eventi internazionali in varie città europee e come mentor in diversi network: «C’è ancora tantissimo da fare per avviare, soprattutto in Italia e nel Sud, un vero cambiamento culturale. Alle donne che vogliono entrare nell’ecosistema delle startup, sia fondando un progetto oppure volendo fare carriera come investitrici, consiglio di non chiudersi in circoli solo femminili. La diversità di pensiero è fondamentale, non bisogna mai correre il rischio di parlarsi addosso».
Ci svela che in Svezia sta aiutando un ragazzo napoletano a mettere in piedi una startup: «La sua idea non mi sembra niente di particolare e lui lo sa. Tuttavia – conclude – gli dico sempre che bisogna provarci ed avere il coraggio di sbagliare. In Italia, soprattutto, ammettere ancora di aver sbagliato è difficile. Si chiamano ancora fallimenti quelli che dovrebbero essere solo delle esperienze, che arricchiscono lo startupper e lo aiutano a rimettersi in gioco con un nuovo progetti».