Negli Stati Uniti, il primo marchio avente ad oggetto una fragranza risale al 1990, in Europa invece la registrazione del cd. “marchio olfattivo” trova un grosso scoglio…
Sempre più imprese stanno investendo nel c.d. “marketing sensoriale”: è ormai esperienza comune entrare in taluni negozi ed essere accompagnati durante i propri acquisti da particolari profumazioni col preciso scopo di imprimere nel cliente l’associazione profumo-società.
Vien quindi da chiedersi se tali profumazioni possano rivestire una funzione di marchio e possano anche essere registrate come marchio.
Oggi la risposta è sì, sebbene la strada sia tutt’altro che semplice e spianata.
Il marchio olfattivo, infatti, ben potrebbe avere i principali requisiti per costituire un valido marchio: novità e capacità distintiva (intesa come la capacità di collegare un dato marchio ad una specifica impresa).
Tantè che negli Stati Uniti, il primo marchio avente ad oggetto una fragranza risale al 1990 e consisteva in una “fragranza fresca, floreale che ricorda i fiori di mimosa di colore rosso” per distinguere il filo da cucire da quello per ricamo, mentre recentemente è stato registrato l’odore di piña colada da un’azienda di strumenti musicali per contraddistinguere degli ukulele.
In Europa invece la registrazione del cd. “marchio olfattivo” trova un grosso scoglio: il marchio olfattivo solo in taluni (sporadici) casi è riuscito a soddisfare il requisito della “rappresentazione” del segno, non essendo “visivamente percepibile”.
Alcune Corti Europee e l’EUIPO (l’ente che rilascia i marchi dell’Unione Europea) hanno, in determinati casi, superato l’”impasse” attraverso il deposito di una descrizione verbale del profumo a patto, però, che il segno olfattivo rappresentasse un odore talmente preciso da essere riconoscibile da chiunque sulla base dei propri ricordi.
L’esempio più famoso è rappresentato dal marchio “profumo di erba appena tagliata” applicata alle palline da tennis.
Negli altri casi i segni non sono stati ritenuti validi in quanto le loro descrizioni sono state considerate non sufficientemente oggettive poiché o connesse alla capacità cognitiva del richiedente (ad es. “odore balsamico fruttato con leggera traccia di cannella”), o non sufficientemente chiare ed intelligibili ai più (formule chimiche) o non stabili e durevoli nel tempo (deposito di un campione).
La “pecca” di questo marchio, per lo meno per quello che riguarda il sistema nazionale e quello dell’unione europea, sarebbe che non esite (al momento attuale) un modo per eliminare “tutti gli elementi di soggettività nel processo di identificazione e di percezione del segno rivendicato” (sentenza del 27/10/2005, T-305/04).
Non esiste, ad esempio, una classificazione internazionale generalmente accettata di odori che consenta, come i codici colore internazionali o la notazione musicale, di identificare un segno olfattivo obiettivamente e con precisione attraverso l’attribuzione di un nome o di un codice preciso per ogni odore.
Altri sistemi giuridici nazionali, tuttavia, prevedono criteri meno restrittivi tantè che, ad esempio, l’Ufficio Marchi Britannico ha concesso la registrazione di una “fragranza floreale di rose” applicata a pneumatici e di “forte odore di birra” applicata a freccette.
Le nuove tecnologie, unite al crescente utilizzo, di fatto, di tali marchi senz’altro riapriranno la questione e mi auspico porteranno a trovare una soluzione soddisfacente.